La legge del tre

Riflessioni sull'esoterismo

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    Sulla Legge del Tre Luglio 2010

    Legge del TreIl dotto articolo apparso su Riflessioni - ad opera di Parabhakti das – sui tre guna [I Guna – Gli influssi della natura materiale], mi offre il destro per riprendere un discorso che avevo lasciato in sospeso fin dai tempi di Esoterismo e comunismo : ovvero la Legge del Tre – come Gurdjieff e Ouspensky definirono questa fondamentale regola del pensiero esoterico riscontrabile ovunque in forme diverse, e – nella fattispecie – comune tanto alla filosofia ermetica quanto a quella hegeliana.

    L’esposizione di Parabhakti tratta della Legge nella sua versione indù, e può essere riassunta così (cito l’articolo, che cita a sua volta la Bhagavad-gita) :

    I guna sono le tre energie materiali che influenzano la vita di tutti gli esseri viventi: Tamas l’ignoranza - Rajas la passione - Sattva la virtù.
    La natura materiale è formata da tre influenze: virtù, passione e ignoranza. Quando l'essere vivente entra in contatto con la natura materiale diventa condizionato da queste influenze. (B.g. 14.5).
    Sattva : O Arjuna senza peccato, sappi che la virtù, la più pura delle influenze materiali, illumina e libera dalle conseguenze di tutti i peccati. Chi è sotto il suo influsso sviluppa conoscenza, ma diventa condizionato dal senso di felicità che essa procura. (B.g. 14.6)
    Rajas : La passione consiste in desideri ardenti e senza fine, o figlio di Kunti. Essa lega l'anima incarnata all'azione materiale e ai suoi frutti. (B.g 14.7)
    Tamas : O discendente di Bharata, l'ignoranza è causa d'illusione per tutti gli esseri. La follia, la pigrizia e il sonno, che legano l'anima condizionata, sono il risultato di quest'influenza. (B.g. 14.8)

    La prima doverosa osservazione è che l’interpretazione dei guna suggerita dalla prospettiva indù – del cui aspetto exoterico Parabhakti è il fedele relatore - è soprattutto morale. Il punto di vista morale è tipico del pensiero religioso : ovvero della trasposizione delle dottrine sciamaniche in un corpo di regole volte a regolare la vita sociale dell’uomo, tramandato dalla classe sacerdotale.
    L’Induismo, infatti, è una religione ancora molto vicina allo sciamanesimo, ma è già una religione; ne consegue che la visione indù, pur conservando nelle definizioni che riserva ai guna un senso probabilmente molto vicino a quello sciamanico, è tuttavia subordinata alla prospettiva monoteista (sebbene - occorre sottolinearlo - nella dottrina religiosa dell’Induismo l’aspetto monoteista non rivesta la stessa primaria importanza che nelle religioni del libro).
    Questa differenza di approccio rispetto all’esoterismo può creare qualche problema nell’integrare la visione induista dei guna con la Legge del Tre quale l’abbiamo conosciuta per mezzo di Gurdjieff e Ouspensky ; che sebbene sia immensamente posteriore, è probabilmente più vicina a quella che era la sua originaria formulazione in termini sciamanici.
    Gurdjieff, infatti, aveva ricevuto la Legge del Tre nel Sufismo orientale, derivato dall’assorbimento in seno all’ortodossia islamica di un gran numero di dottrine sciamaniche dell’Asia Centrale : le medesime che, parecchi millenni prima - viaggiando verso sud invece che verso ovest - erano state recepite e codificate dai redattori dei testi sacri dell’Induismo.
    Anche l’adattamento operato dai Sufi, ovviamente, è molto posteriore alla Bhagavad-gita ; però le scuole sufiche – per quanto sviluppatesi in ambito religioso – erano scuole trasmutatorie, e non c’è dubbio quindi che avessero interesse a mantenere le cognizioni relative alla trasmutazione interiore più intatte di quelle che i sacerdoti Indù avevano invece destinato a un altro uso : ovvero il processo di regolamentazione sociale di un immenso popolo.
    Possiamo quindi fidarci di Gurdjieff nell’affermare che il senso originario dei tre guna è definire le tre forme di energia sottile che danno origine alla materia, GENERANDO in questo modo il piano della realtà oggettiva (potrei anche provare a definire questo particolare stato dell’essere con perifrasi diverse, tipo il livello della manifestazione materiale ; ma piano della realtà oggettiva è la formula che ho quasi sempre usato negli articoli precedenti, e continuando a usarla mi auguro di limitare i rischi di confusione).
    Ora, la dottrina presentata da Parabhakti può anche implicare la possibilità di questa generazione, ma non la fa risaltare molto, e le definizioni da lui fornite dei guna (Ignoranza, Passione e Virtù) se applicate in tal senso creano effetti quasi umoristici : d’accordo, l’ignoranza dilaga, ma non fino al punto di considerarla uno dei tre elementi costitutivi del processo dialettico.
    Si tratta in realtà di una divergenza di significato solo apparente, se pensiamo ad esempio al fatto che nell’accezione di Parabhakti l’ignoranza può essere equiparata alla percezione frammentaria della realtà, generante l’illusione dell’esistenza dell’uomo come individuo ; se la intendiamo in questo modo, il superamento dell’ignoranza è la coscienza collettiva, e trovare le corrispondenze con il ternario hegeliano diventa facile.
    Ma a parte che si tratta di un’assimilazione tirata per i capelli, è chiaro che tacciare di ignoranza una delle forze generatrici della creazione non ha molto senso. Il punto di vista di Parabhakti deve quindi essere considerato strettamente exoterico (né mai, del resto, egli si è proposto di scrivere di esoterismo), e per trovare le corrispondenze dei guna con le altre formulazioni del ternario a noi note è giocoforza doverci rivolgere altrove.
    Infatti, come è noto, anche nell’Induismo esiste una prospettiva esoterica, tramandata nelle scuole brahmaniche. Quello che è necessario fare se vogliamo saperne di più è cercare ancora una volta l’aiuto di Réné Guénon, che anche se non si condividono le sue idee sulla tradizione rimane su questo tema il maestro insuperato.
    Nelle sue opere giovanili sulla metafisica, egli procede all’enumerazione – in termini tanto esoterici quanto filosofici e matematici – delle entità supreme che si trovano ai vertici del pantheon induista : un pantheon che offre la possibilità di ricondurre le sue divinità apparentemente separate all’idea di un dio unico che si manifesta in forme diverse.
    E’ proprio questo l’aspetto dell’Induismo che Guénon enfatizza oltremodo ; attirandosi con ciò le ire degli Induisti ortodossi, ma nello stesso tempo attirando l’attenzione su un concetto veritiero - ovvero che l’Induismo non è altro che la prima tappa dello sciamanesimo nel suo percorso verso il monoteismo, di cui le religioni del libro (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) rappresentano, in fasi differenti, le tappe successive.
    Un lavoro di commento analogo a quello che egli operò sull’Induismo avrebbe in realtà potuto effettuarsi - più o meno negli stessi anni – sulle macumbe interetniche latinoamericane, che nella prima metà del ventesimo secolo (almeno ad Haiti e in Brasile) si presentavano già in forme socialmente abbastanza evolute perché uno studioso di formazione occidentale potesse effettuare su di esse un tale studio ; è quello che accadde ad Haiti circa un trentennio dopo Guénon ad opera di Milo Rigaud, i cui lavori però arrivarono in Occidente abbastanza tardi per passare inosservati nel boom di pubblicistica esoterica dell’ultimo dopoguerra (quanto a quelli che non furono tradotti allora, i cui manoscritti erano custoditi in un convento di Port-au-Prince, sono forse andati perduti definitivamente dopo l’ultimo terremoto).
    Comunque sia, il cieco demone della storia – complice anche la stupida diffidenza dei “bianchi” nei confronti dei prodotti culturali delle civiltà “nere” - stabilì che agli albori del ventesimo secolo gli Occidentali, tramite l’opera di Guénon e non solo, venissero a conoscenza della fase di transizione dallo sciamanesimo all’esoterismo mediante l’analisi dell’Induismo, e non di altro.
    Se l’avessero appresa dalle macumbe – leggermente più spostate verso lo sciamanesimo rispetto alle dottrine indù - la conoscenza dettagliata delle fasi della transizione sarebbe forse oggi condivisa da tutti gli esoteristi, e non saremmo solo io e altri quattro gatti ad aver le idee chiare su questo punto ; ma la storia come è noto non si fa con i se, e tanto il sottoscritto quanto i lettori devono rassegnarsi a tirare avanti con quello che passa il convento.
    Guénon ci parla dei guna ponendo l’accento sulla loro subordinazione alla dualità Purusha-Prakriti, di quest’ultima a Ishwara e di Ishwara a Brahma.
    Per capire cosa questo significhi, bisogna sforzarsi di entrare nella sua prospettiva, per la quale il manifestato procede dal non-manifestato : l’1 emana dallo 0, mentre il 2, il 3, il 4 e tutti gli altri numeri procedono dall’1.
    Il rapporto tra 0 e 1 deve essere considerato a parte perché non ci troviamo di fronte a una normale progressione numerica come quelle che si registrano nella matematica “profana”: lo 0, infatti (ovvero il non manifestato) ha nei confronti degli altri numeri (che esprimono i progressivi livelli della manifestazione) un rapporto incommensurabile - in un certo senso, lo si può considerare equidistante da tutti.
    Così è per l’Assoluto nei rapporti col mondo della manifestazione, ovvero dell’illusione : che da esso promana, sì, ma ne è nel contempo separata da un abisso incolmabile.
    Questo è il cuore del punto di vista tradizionale così come Guénon lo espresse : in sostanza, un esoterismo caratterizzato da una super-teologia monoteista, a sostegno della quale anche tutti gli exoterismi a suo giudizio ortodossi trovano posto, dando vita a un rigido schema che blinda la prospettiva esoterica entro un sistema di carattere filoreligioso.
    Non rimane infatti spazio per alcuna visione dell’esoterismo che non parta dal presupposto di una progressiva emanazione dall’alto ; ovvero da una ristretta concezione di mondo spirituale che nulla ha da spartire col mondo intermedio dove abita la psiche, e quindi nemmeno con l’idea di una manifestazione che si autoriproduce a ogni istante.
    Ho troppo semplificato e me ne scuso : in realtà, tanto in ambito hegeliano quanto in ambito marxista le qualità potenzialmente attribuibili al processo dialettico offrono aggiustamenti in grado di superare questa contraddizione, che io ho invece presentato come radicalmente insolubile.
    A questo proposito, almeno una parentesi è doverosa per sottolineare come la prospettiva guenoniana non possa essere accreditata all’ortodossia induista nella sua globalità. La scuola Advaita, o della non-dualità, costituisce il principale filone interpretativo della tradizione vedica (darshana), ma non è il solo, e anche nel suo seno le posizioni interpretative sono assai diverse.
    Quella di Adi Shankaracharya – il maestro dell’ottavo secolo che fu la fonte di Guénon – fu la prima a sistematizzare rigidamente il processo della manifestazione, enfatizzando in questo modo la sua contrapposizione con l’Assoluto per sottolineare la necessità di un approccio non-duale che li comprendesse entrambi ; questo però fu solo il punto di partenza, dal quale i maestri successivi avrebbero elaborato progressivamente approcci più pragmatici volti a facilitare il risveglio (noi diremmo la trasmutazione interiore) tramite tecniche operative.
    Come di regola accade nella storia delle scuole trasmutatorie, tali diversi approcci rispecchiano lo spirito del tempo in cui vennero proposti ; questo non allo scopo di distorcere satanicamente la dottrina originaria, ma per mantenere intatta l’accessibilità alla tradizione (una possibilità che il maestro francese scartava a priori : in quanto – secondo lui – l’uomo contemporaneo non è più all’altezza di praticare con successo il lavoro trasmutatorio).



    L’ultima evoluzione dell’Advaita è il cosiddetto non-Advaita, diffuso nel ventesimo secolo ad opera di maestri come Uppaluri Gopala Krishnamurti (1918-2007). Questa scuola è stata accusata di porsi al di fuori della tradizione perché scarta il valore didattico e operativo della sistematizzazione messa a punto da Shankaracharya, puntando tutto il proprio insegnamento sul qui e ora ; è in questo assai vicina all’insegnamento di Gurdjieff e Ouspensky, cui somiglia molto.
    Nel non-Advaita, il trascendimento di tutte le dualità proposte dalla mente diventa un processo automatico ; raggiungibile non per mezzo di stravaganti tecniche meditative che squilibrano la mente ma senza alcuno sforzo, mediante lo sviluppo di un’attitudine mentale naturale e spontanea.
    La forza neutralizzante prodotta in questo modo diviene ben presto enorme, creando un vortice entro il quale si dissolvono tutte le contrapposizioni.
    E’quindi sul ternario che ruota la totalità del lavoro trasmutatorio operativo ; per questo, a mio giudizio, considerare il ternario alla stregua di un semplice elemento inquadrabile nell’ambito di un sistema teorico più complesso è un errore.
    E tuttavia, la lettura guenoniana è pur sempre quella che ci conviene prendere in considerazione, per due motivi : primo, è di gran lunga la più accreditata in ambito esoterico – secondo, proprio per questo è ricca di agganci e ponti che ai fini di un inquadramento dei guna nel contesto di un discorso esoterico possono esserci utili.
    Sulla base della prospettiva di Shankaracharya, i tre guna erano per Guénon un’insidia : in quanto, essendo le tre forze necessarie e sufficienti a mettere in piedi l’intero teatro della manifestazione (non solo il piano della realtà oggettiva, ma tutti gli stati dell’essere, per Gurdjieff Tutti i Mondi ), nulla e nessuno vieta agli empi come il sottoscritto di fondarsi su di essi per dare vita a un esoterismo senza Dio (o per meglio dire, senza Assoluti).
    Per limitare la portata dei guna, Guénon dispiega tutto il suo talento di gigante tra gli esoteristi, lavorando di fioretto con una classe incredibile.
    Vediamo come ci arriva. Per lui lo 0 è Brahma (il Principio impersonale distinto dal mondo) e l’1 è Ishwara (l’Assoluto qualificato o direttamente concepibile) ; il 2 invece è costituito dalla coppia Purusha/Prakriti, il cui secondo elemento Prakriti secondo l’ortodossia indù è formato dai guna.
    Ora, la coppia Purusha/Prakriti può equivalere per lui - in rapporto a uno stato d’essere determinato e nel dominio di esistenza che corrisponde a questo stato - a quello che per l’esoterismo islamico è l’Uomo Universale.
    Questo implica che Purusha - corrispondente al sé inteso nel senso guenoniano del termine, ovvero alla personalità contrapposta, in quanto “scintilla divina”, al carattere imperfetto e frammentario dell’individualità – sia una parte del Supremo Ordinatore come la scintilla lo è del fuoco.
    Purusha, in altre parole, viene per così dire… reclutato a forza nel Barnum delle entità funzionali a documentare la discesa dell’Assoluto nella manifestazione - una funzione che nell’Induismo ortodosso - metafisico o no - si fa fatica a supporre che possa mai aver rivestito.
    In questo modo, se Purusha è analogo a Ishwara ovvero a Brahma, i guna che compongono Prakriti sono automaticamente relegati a un ruolo secondario : mera emanazione indiretta dello splendore del non manifestato, a fronte di quest’ultimo svaniscono letteralmente nel nulla.
    A Prakriti resta il premio di consolazione di vedere riconosciuta la sua funzione di simbolo del principio plastico - ovvero di Supremo Forgiatore delle forme (anche se per Guénon è costretto a forgiarle con… materiali di importazione) ; staccandoci per un attimo dal dibattito riguardo alle sue qualità, vorrei far notare la sua corrispondenza con il Grande Architetto dell’Universo - difatti i tre punti sul grembiule del Maestro Massone sono proprio i tre guna.
    Per rincarare la dose nei confronti del malcapitato Prakriti (come fanno i pugili quando capiscono di aver già vinto, e invece di tirare il fiato picchiano l’avversario ancora più forte), Guénon specifica pure che la coppia Purusha/Prakriti …non ha rapporto con qualsiasi dualismo e, in particolare, è totalmente differente dal dualismo spirito-materia della filosofia occidentale moderna.
    Qui direi che siamo oltre i limiti della prepotenza in campo spirituale, perché neanche in una disciplina sottile come è la metafisica ha molto senso proporre una netta distinzione tra coppia e dualismo, come se una qualsiasi unione potesse non implicare contrapposizione : come si dice in Marocco, se il cammello è tuo quando c’è il sole è tuo anche quando piove. Ma anche con questo sofisma, Guénon centra l’obbiettivo che gli sta più a cuore - mantenere Purusha sdegnosamente immune da determinazioni, in modo da renderlo il più possibile analogo a Brahma e ad Ishwara.
    Comunque, filoreligioso o no, il punto di vista di Guénon rimane pur sempre esoterico, perché - sia pure malvolentieri e con le suddette riserve – ribadisce correttamente la concezione che il mondo della manifestazione DERIVIeffettivamente dall’azione combinata dei guna.
    E’ dunque assai probabile che le sue definizioni dei guna possano esserci utili. Egli parte dal pensiero che i guna non sono stati, ma condizioni dell’Esistenza Universale (…) o qualità costitutive degli esseri in tutti i loro stati di manifestazione, impeccabile aggiustamento che aggira con eleganza l’ostacolo di doverli definire alla stregua di energie o forze : questi termini, infatti, avrebbero potuto suggerire ai suoi lettori l’idea di utilizzare i guna nell’aborrito lavoro trasmutatorio sulla psiche, qualcosa che lui considerava controiniziazione.

    Sattwa (è la) conformità all’essenza pura dell’essere, si identifica con la luce intelligibile, ovvero con la conoscenza, ed è rappresentata come una tendenza ascendente. (…) Alla predominanza di Sattwa nell’individuo corrisponde la predominanza dell’intellettualità.(…) Nella croce a tre dimensioni, tende verso il polo settentrionale.(…) Nella Triade (taoista) corrisponde al Cielo.(…) Nel Fuoco è Sattwa che predomina, perché Sattwa è l’elemento luminoso.
    Rajas è l’impulso espansivo, sotto la spinta del quale l’essere si sviluppa in un certo stato e, in qualche modo, a un determinato livello dell’esistenza. (…) Nella natura dello Kshatrya (guerriero) predomina Rajas e lo fa tendere alla realizzazione delle possibilità comprese nello stato umano. Alla predominanza di Rajas corrisponde (…) la sentimentalità (intesa come parte psichica dell’uomo) . Il piano dell’Equatore dello sferoide determinato dalla croce a tre dimensioni raffigura il campo di espansione di Rajas. (…) Nella Triade corrisponde all’Uomo.(…) Rajas predomina nell’Aria e questo elemento è considerato come essenzialmente dotato di un movimento trasversale.
    Tamas, l’oscurità, intesa simile all’ignoranza, è rappresentata quale una tendenza discendente. (…) Nella croce a tre dimensioni, tende verso il polo meridionale dell’asse verticale.(…) Nella Triade, corrisponde alla Terra.(…) Soprattutto nella Terra è Tamas a dominare fisicamente, e a questa forza discendente e comprensiva corrispondono la gravità e la pesantezza.

    Una volta di più, trovo piuttosto discutibili le consuete strizzatine d’occhio guenoniane al pensiero teologico, soprattutto quando tratta di Sattwa. Ma non mi sembra il caso di continuare a discutere di esoterismo all’infinito con un signore troppo morto per poter replicare ; anche perché le definizioni dei guna che cercavamo le abbiamo trovate.
    Difatti, una caratteristica comune alle definizioni che considerano il ternario nei termini di uno schema di forze è che in entrambi i casi si postula l’esistenza di due forze contrapposte, più di una terza introducente nell’antinomia un supplemento energetico che consente di superarla : così è nel caso di tesi, antitesi e sintesi e delle forze attiva, passiva e neutralizzante.
    Troviamo la stessa cosa nei guna di Guénon, espressa ben due volte :

    1 - Sattwa la Luce, Rajas l’Espansione, Tamas l’Oscurità (anche in questo ternario è possibile riscontrare un collegamento all’esoterismo massonico, tramite i primi cinque versetti del Vangelo secondo Giovanni) ;
    2 – e in termini taoisti : Sattwa il Cielo, Rajas l’Uomo, Tamas la Terra.

    In entrambi i casi, quali sono i due termini contrapposti - e in che modo – è chiaro. Se proviamo a riportarli al Raggio di Creazione, Sattwa risulta essere la forza attiva, Tamas la forza passiva, Rajas la forza neutralizzante ; e nel ternario hegeliano Sattwa è la tesi, Tamas l’antitesi e Rajas la sintesi.
    Cosa si può tirare fuori da queste attribuzioni ? Beh, di sicuro non è roba che si mangia, ma a qualcosa può servire. Per esempio, a smembrare nelle sue componenti tanto la facoltà percettiva dell’uomo quanto la realtà oggettiva che ne è l’oggetto, e dallo studio delle proprietà relative alle forze/guna individuare metodi magici per influenzare consapevolmente ambedue i processi.
    Nel sistema trasmutatorio della Santisima Muerte questa forma di conoscenza è chiamata il potere dell’acqua. Infatti l’elemento Acqua è la sostanza in cui le tre forze si presentano equilibrate : non a caso Guénon, nell’enunciare le corrispondenze dei 3 guna coi 4 Elementi, lasciò l’Acqua fuori.
    La plasticità dell’Acqua è assoluta come l’eterno fluire della manifestazione, e particolarmente del piano della realtà oggettiva, nel quale non è possibile ravvisare alcuna breccia ; chiunque voglia imparare a lavorare col potere dell’Acqua nascosto nel ternario dovrà prendere le mosse proprio da questa osservazione.
    La Santisima Muerte definisce il lavoro sull’acqua la forma ultima di conoscenza, di cui è detto : non c’è nient’altro che devi capire. Ne parleremo in uno dei prossimi articoli di questa rubrica.

    Daniele Mansuino

    Tratto da: www.riflessioni.it/esoterismo/legge-del-tre-2.htm


    Link al topic sull'Esoterismo: https://vascello-stelleperdute.forumfree.it/?t=52824098
     
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    qui sotto più dettagli sui Guna:

    Riflessioni sulla Cultura Vedica
    di Parabhakti das -

    I Guna – Gli influssi della natura materiale aprile 2010

    I Guna sono le tre energie materiali che influenzano la vita di tutti gli esseri viventi:

    TAMAS l’ignoranza - RAJAS la passione - SATTVA la virtù.

    La miscela praticamente infinita di queste tre influenze determina i diversi corpi psicofisici presenti non solo sul pianeta terra ma nell’intero universo. Virtù, passione e ignoranza guidano e controllano le diverse azioni e le fasi della giornata, catalogano i cibi, ordinano culture, politiche ed anche tradizioni religiose. La loro interazione è naturalmente necessaria per la vita stessa, tuttavia, in accordo agli obiettivi che ci prefiggiamo è fondamentale coltivarne, circostanziarne o rifuggirne le differenti influenze.
    La tradizione vedica indica in Brahma (il “costruttore” dell’universo materiale) il responsabile di Rajas, in Visnu (il mantenitore-proprietario della materia e origine dell'essenza spirituale presente in ogni essere vivente) quello di Sattva e in Shiva (il distruttore trascendentale) quello di Tamas.
    La tradizione monoteista vaisnava, alla quale appartengo, identifica Brahma come uomo, pur nella posizione più elevata dell’universo, Shiva come divinità a sé stante e Vishnu come Dio, la Persona Suprema. Tutte le tradizioni yogiche sono comunque concordi nel considerare la virtù come base di partenza per accedere alla conoscenza spirituale, necessaria per liberarsi dalle catene dell'esistenza materiale e raggiungere la dimensione spirituale.
    La Bhagavad-Gita, l'antichissimo testo sacro che riporta il dialogo tra Krishna (nome intimo di Dio che significa l'Infinitamente Affascinante) e il suo amico e discepolo Arjuna, ci istruisce sulla natura di queste influenze e su come trascenderle:

    “La natura materiale è formata da tre influenze: virtù, passione e ignoranza. Quando l'essere vivente entra in contatto con la natura materiale diventa condizionato da queste influenze.” (B.g. 14.5)
    Sattva
    “O Arjuna senza peccato, sappi che la virtù, la più pura delle influenze materiali, illumina e libera dalle conseguenze di tutti i peccati. Chi è sotto il suo influsso sviluppa conoscenza, ma diventa condizionato dal senso di felicità che essa procura.” (B.g. 14.6)
    Rajas
    “La passione consiste in desideri ardenti e senza fine, o figlio di Kunti. Essa lega l'anima incarnata all'azione materiale e ai suoi frutti.” (B.g 14.7)
    Tamas
    “O discendente di Bharata, l'ignoranza è causa d'illusione per tutti gli esseri. La follia, la pigrizia e il sonno, che legano l'anima condizionata, sono il risultato di quest'influenza.” (B.g. 14.8)

    La Bhagavad-Gita scende ulteriormente nel dettaglio sugli atteggiamenti che gli individui esternano in accordo ai guna predominanti che ne sottolineano la natura divina o demoniaca (nella sua accezione classica di separato dalla Divinità).
    L'uomo che si lascia travolgere dalle influenze inferiori dell'ignoranza e della passione sviluppa pensieri ed azioni egoiste, spesso “torbide”, che l'avvicendarsi delle epoche storiche cambia solo nella modalità d'espressione, ma non nell'essenza:

    “Gli uomini demoniaci si rifugiano nell'arroganza, nell'orgoglio e nella lussuria insaziabile, diventando così preda dell'illusione. Affascinati dall'effimero, dedicano la loro vita ad attività malsane.”
    “Credono che godere dei sensi fino all'ultimo istante di vita sia la necessità dell'uomo. Così la loro ansietà non trova fine. Incatenati da centinaia e migliaia di desideri materiali, dalla lussuria e dalla collera, accumulano denaro con mezzi illeciti per soddisfare i sensi.”
    “L'uomo demoniaco pensa: Oggi possiedo tutte queste ricchezze e secondo i miei piani ne guadagnerò sempre di più! Quell'uomo era tra i miei nemici e io l'ho ucciso (sconfitto); quando sarà il mio turno ucciderò anche gli altri (sconfiggerò chi mi ostacola). Sono il padrone di tutto. Sono perfetto, potente e felice, sono il più ricco e sono circondato da un'alta parentela. Non esiste nessuno potente e felice come me. Compirò sacrifici, farò la carità e me ne compiacerò. Ecco come queste persone sono sviate dall'ignoranza.” (B.g. 16.10-15)

    Leggendo la Bhagavad-gita, possiamo comprendere come una mentalità come quella appena descritta, che guida moltissimi uomini moderni, intanto non sia una novità, ma semplicemente la conseguenza di un'educazione familiare, scolastica e sociale troppo permeata dalle influenze di Tamas e Rajas.
    Le caratteristiche della , sempre più rara, persona sattvica sono così sintetizzate:

    “Il Signore Beato disse: L'assenza di paura, la purificazione dell'esistenza, lo sviluppo della conoscenza spirituale, la carità, il controllo di sé, il compimento di sacrifici (cerimoniali), lo studio dei Veda (sacre scritture), l'austerità e la semplicità; la non violenza, la veridicità, l'assenza di collera; la rinuncia, la serenità l'avversione per la critica, la compassione, l'assenza di cupidigia; la dolcezza, la modestia e la ferma determinazione; il vigore, il perdono, la forza morale, la purezza, l'assenza d'invidia e sete di onori – queste sono, o discendente di Bharata, le qualità trascendentali degli uomini virtuosi, degli uomini di natura divina.” (B.g. 16.1-2)

    La conoscenza del modo in cui operano i guna ci offre migliori possibilità di compiere scelte corrette per pianificare un futuro sereno, pacifico e armonioso.
    Per sfuggire o mitigare la loro influenza è necessario riorganizzare la nostra vita, cominciando dall'agenda giornaliera che dovrebbe includere pratiche di meditazione o preghiera (possibilmente nelle prime ore del giorno quando la vibrazione virtuosa è ai suoi massimi) proseguendo nella selezione dei cibi, delle letture, dei programmi televisivi, delle amicizie poiché il nostro benessere psico-fisico e spirituale dipende dall'impostazione che diamo alla nostra quotidianità. La virtù ci aiuterà a essere meno condizionati dalla moda, dalle tendenze del mercato, dall'imperversante, aggressivo e distruttivo gossip che domina la pseudo-cultura odierna. Trasformare la nostra vita scegliendo un indirizzo più virtuoso, non porta solo a un beneficio personale, ma è anche un atto di grande responsabilità ed affetto verso i nostri cari e verso tutta la società che si nutrirà dell'esempio dato da persone mature ed equilibrate.
    Come sempre avviene quando si desidera raggiungere un obiettivo, i sacrifici sono parte attiva del percorso, ma mentre quelli legati all'accrescimento del proprio prestigio, potere o ricchezza, sono di natura effimera e sono sempre intrisi d'insoddisfazione, quelli legati alla virtù, aprono sentieri nuovi che conducono alla libertà dal condizionamento materiale e a una felicità duratura:

    “Le austerità del corpo sono: adorare il Signore Supremo, i brahmana, il maestro spirituale e i superiori come il padre e la madre. La pulizia, la semplicità, la continenza e la non violenza sono anch'esse austerità del corpo.”
    “L'austerità della parola consiste nell'usare un linguaggio veritiero, volto al bene di tutti e nell'evitare i termini offensivi. Bisogna anche recitare regolarmente i Veda.”
    “Serenità, semplicità, controllo di sé e purezza di pensiero sono le austerità della mente.”
    “La triplice unione di queste austerità, praticata con fede dagli uomini il cui scopo non è quello di ottenere qualche beneficio per sé, ma quello di soddisfare il Supremo, appartiene alla virtù.” (B.g 17.14-17)
    “Ma quelle penitenze e austerità ostentate che si compiono per ottenere rispetto, onore e venerazione, si dice che appartengano alla passione. Esse non sono né stabili né permanenti.” (B.g. 17.18)
    Infine, le penitenze e le austerità compiute stupidamente e fatte di torture ostinate, oppure per ferire o distruggere gli altri, si dice che appartengono all'ignoranza.” (B.g. 17.19)

    Riassumendo, chi è avvolto dall’ignoranza è caratterizzato da un ostinato materialismo, è irascibile, pigro, avaro, ipocrita, furbo nell’insultare, dorme più ore del necessario, è sempre triste e rimanda continuamente i suoi compiti all’indomani, agisce per capriccio, senza uno scopo, e non mostra alcun interesse per la conoscenza spirituale. Agendo sempre contro i precetti delle Scritture, compie azioni in modo incosciente, dimenticando completamente la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, senza considerare le conseguenze o l’incatenamento che queste azioni generano e senza preoccuparsi di non fare violenza agli altri. Il suo unico scopo è quello di soddisfare le necessità del corpo (mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi), conducendo così uno stile di vita simile a quello di un animale. La sua concezione della felicità è fondata sull’illusione e sulla degradazione.
    L’uomo dominato dall’ignoranza predilige cibi privi di gusto e di freschezza, puzzolenti, decomposti e impuri come carne, pesce, uova e alcolici; compie sacrifici senza alcuna fede e in modo contrario ai precetti delle Scritture: le divinità sono oggetto di adorazione al solo scopo di ottenere un tornaconto materiale personale; compie austerità in maniera sciocca, con ostinate e insensate torture oppure allo scopo di ferire o distruggere gli altri.
    La passione è caratterizzata dall’influenza che l’uomo e la donna esercitano l’uno sull’altra. E quando l’influenza della passione aumenta, con essa aumenta il desiderio di godere della materia e dei sensi materiali fino a generare desideri e aspettative illimitate e incontrollabili. L’uomo passionale segue i suoi desideri materiali, è presuntuoso, insoddisfatto perfino nel guadagno, si considera differente e migliore degli altri, prova gusto a sentirsi elogiato e ha la tendenza a ridicolizzare gli altri.
    La conoscenza dell’uomo così influenzato si basa sulla speculazione mentale che genera teorie secondo le quali il corpo è considerato il vero io e la coscienza un epifenomeno temporaneo del corpo, escludendo l’esistenza nel corpo stesso dell’anima spirituale eterna. Questo porta a una comprensione perversa e illusoria che porta, a sua volta, alla non distinzione tra religione e irreligione, tra verità e illusione, tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che non va fatto.
    L’uomo influenzato dalla passione è sempre alla ricerca del proprio interesse personale nella religione così come nella gratificazione dei sensi: attaccato ai frutti del suo lavoro è intento a goderne il più possibile; è avido, invidioso, trasportato dalle gioie e dai dolori. Agisce con grandi sforzi esclusivamente per appagare i suoi desideri materiali, generando così infelicità.
    L’uomo condizionato dalla virtù sviluppa una saggezza superiore a quella degli uomini condizionati in altro modo, non è molto colpito dalle sofferenze di questo mondo ed è consapevole dei suoi progressi nella conoscenza materiale: l’influsso della virtù porta una conoscenza più approfondita e una sensazione più intensa di felicità. Qualità generate sotto l’influenza della virtù sono il controllo della mente e dei sensi, la tolleranza, il discernimento, l’aderenza al proprio dovere prescritto, la veridicità, la misericordia, la soddisfazione in qualsiasi condizione, la generosità, la rinuncia alla gratificazione dei sensi, la fede nel maestro spirituale, la carità, la semplicità, l’umiltà e la soddisfazione nel sé.
    La conoscenza sotto l’influenza della virtù permette di distinguere in tutte le entità una natura spirituale unica ed eterna, ossia l’energia spirituale presente nei corpi di tutti gli esseri viventi e porta l’uomo a discriminare in modo intelligente, alla luce delle Scritture, su ciò che va fatto e ciò che non va fatto, su ciò di cui avere timore e ciò di cui non bisogna temere, su ciò che condiziona e ciò che libera. L’azione dell’uomo virtuoso è dettata dal dovere, è compiuta senza orgoglio o attaccamento materiale verso il risultato ed è offerta a Dio: è basata quindi sulle Scritture e per questo ha un potere purificatore su chi la compie. L’uomo così influenzato è entusiasta, determinato e non influenzato dal successo o dall’insuccesso. Il cibo gradito all’uomo virtuoso è un cibo nutriente, dolce, succulento e gustoso come latticini, cereali, zuccheri, frutta e verdura: aumenta la durata della vita, purifica l’esistenza, dà forza, salute, felicità e soddisfazione.
    Per quanto riguarda il sacrificio, esso è compiuto dall’uomo virtuoso come un dovere, senza alcun desiderio personale, secondo le istruzioni delle Scritture e senza aspettarsi alcuna ricompensa, così come anche l’austerità viene compiuta con fede e senza desiderare benefici materiali.
    Chi si impegna nello via dello yoga, come anche il religioso, aspira a trascendere i legami materiali per potersi dedicare senza eccessive zavorre alla realizzazione spirituale, ma per poter raggiungere questo fine sono necessarie sincerità e determinazione.

    Concludo con una storia presa in prestito dalla tradizione dei Nativi Americani che reputo educativa e stimolante:

    Un vecchio indiano Cherokee stava istruendo i nipoti sulla vita. Disse loro: “Un combattimento è in atto dentro di me… è un combattimento terribile tra due lupi. Un lupo rappresenta la paura, la collera, l’invidia, la tristezza, il rimpianto, l’avidità, l’arroganza, l’ambizione, il risentimento, l’inferiorità, la menzogna, la falsità, l’orgoglio, la superiorità e l’ego. L’altro impersona la gioia, la pace, l’amore, la speranza, la condivisione, la serenità, l’umiltà, la gentilezza, la benevolenza, l’amicizia, l’empatia, la generosità, la veridicità, la compassione e la fede. Questo stesso combattimento è in atto dentro di voi, e dentro ogni altra persona.” I ragazzi rifletterono un attimo e poi uno di loro chiese al nonno: “Quale lupo vincerà?” L’anziano Cherokee rispose: “Quello a cui darai da mangiare.”

    Parabhakti das

    Articolo visibile su: http://www.riflessioni.it/cultura-vedica/g...rajas-tamas.htm
     
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    Tiro su questo post molto utile, a mio avviso.
     
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