IL SAPERE - I TAROCCHI DI CECILIA GATTO TROCCHI

Dissertazione - Le Bateleur

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    Cecilia Gatto Trocchi una donna che mi ha insegnato TANTO. 🌹

    Fronte


    Retro

    Un libro stampato nle 1995 ormai scomparso..
    La prima presentazione tratta dal libro.. è Le Bateleur...Spero di pubblicare tutte le restanti...Grazie ..


    II. Il doppio giocò dell'immaginario

    Al di là della passione e del rischio del giuoco le carte rappresentano fondamentalmente un «mistero»: esse costringono a confrontarsi con il destino in una sfida alla fortuna che richiama le iniziazioni rituali. «Forzare la mano al destino» è una aspirazione umana millenaria e perturbante: chi non rammenta le tentazioni della dama di picche e la rovina del giocatore
    Herman? I tarocchi con i loro enigmatici trionfi sono la rappresentazione più affascinante di questo gioco col destino.
    Nato nell'Italia delle corti il prototipo originario ebbe diverse varianti: i tre grandi centri che fecero scuola furono Milano, Ferrara, Bologna. La storia delle corti si arresta qui: i Tarocchi dalla metà del XVI secolo diventano popolari, si moltiplicano e si diffondono in tutta Europa attraverso la mediazione francese. Le allegorie originarie degli anonimi artisti rinascimentali si sono tramandate (pur con notevoli varianti) fino ai giorni nostri e quelle icone simboliche dei trionfi che per noi spesso rappresentano
    misteriosi enigmi, dovevano essere assai familiari ai raffinati giocatori ritratti nell'affresco milanese di casa Borromeo: il significato di ogni «arcano»^1 doveva essere ai loro occhi immediato ed edificante.
    Le belle immagini enigmatiche, misteriose, fantastiche rispecchiano secondo Plotino quella antica sapienza di ispirazione divina che discendeva da Adamo, il progenitore che ne era in possesso prima della cacciata dal paradiso terrestre^2 Da tale convinzione deriva l'assioma che i simboli non siano convenzionali: la loro interpretazione, dovuta all'intuizione e all'ispirazione, conduce ad un significato univoco e totalizzante: nell'essenza di un'immagine simbolica è racchiusa una rivelazione. Ogni suo aspetto si percepisce carico di una ricchezza di significati che non possono essere appresi, ma solo scoperti nel processo di contemplazione che il simbolo è destinato a provocare. Secondo i neoplatonici, le cui dottrine erano in grande voga nel Rinascimento, lo sperimentare simultaneamente una serie di significati diversi (che vengono suggeriti allo spirito quando si contempla un'immagine estetica) diviene qualcosa di molto simile al modo di apprendere delle intelligenze superiori. Pur mantenendo le distanze dalle tesi neoplatoniche, va detto che nella moderna semiologia il simbolo, in quanto segno aperto, possiede ancora le caratteristiche della bella immagine, di una icona portatrice di significati necessari per l'anima. Come giustamente rivela il Gombrich, di fronte alle immagini simboliche si può essere platonici o aristotelici. La tradizione aristotelica analizza i simboli partendo dalla teoria della metafora, cioè del parlar figurato per poi arrivare alle rappresentazioni visive. Una volta scoperta la metafora fondamentale la tradizione razionalista approfondisce il concetto astratto a cui questa metafora si collega e ne studia le associazioni di pensiero. La teoria della metafora permette di esercitare una chiara distinzione tra rappresentazione e simbolizzazione: come una figura può rappresentare una realtà del mondo visibile, può contemporaneamente simboleggiare l'idea astratta che questa immagine porta. Nella tradizione platonica e neoplatonica il simbolo invece è visto come un misterioso messaggio divino. A questa tradizione si riallaccia F. Kleuser quando afferma che è proprio grazie alla sovrabbondanza di contenuto rispetto alla sua espressione che il simbolo diviene significativo ed esaltante ... Il contatto con il simbolo è un momento che impegna tutto il nostro essere, la visione di un'infinita distanza da cui il nostro spirito viene arricchito. Infatti questa istantaneità agisce sulla fantasia ricettiva, mentre la nostra ragione prova un intenso piacere nell'analizzare l'insieme che l'immagine concisa concentra in un solo istante. Il simbolo sembra espandersi per diventare illimitato e infinito ... In questo sforzo non si accontenta di dire molto ma vuole dire tutto, desidera comprendere in sé l'incommensurabile ì.
    La valorizzazione delle immagini sottolinea l'inadeguatezza del linguaggio discorsivo che è sempre costretto ad attenersi ad un solo pensiero per volta. La sua natura lo rende inadatto alla percezione diretta della verità e all'ineffabile intensità della visione mistica. D'altro canto la tradizione aristotelica è portata a considerare le categorie del linguaggio come preminenti, anzi come categorie del mondo. Solo apprendendo il potere della parola possiamo imparare anche a comprendere lo sviluppo di quei sistemi alternativi della metafora che ci conducono vuoi in compagnia di Aristotele, vuoi in compagnia di Platone, nel cuore stesso dell'universo simbolico. Il simbolo non appartiene all'ordine del reale ma a quello del
    pensiero: esprime il significato primitivo e totalizzante che l'uomo ha dato al cosmo in un preciso momento della sua preistoria.
    In seguito ad una trasformazione (che forse un giorno antropologia, biologia e psicologia riusciranno a descrivere) si è verificata per la specie umana una mutazione da uno stadio in cui nulla aveva un senso ad un altro in cui ogni cosa ne possedeva uno. L'universo ha quindi avuto un significato molto prima che si sapesse scientificamente come fosse composto e strutturato. Secondo i semiologi, nel suo sforzo di comprendere
    il mondo l'umanità disponeva di un'eccedenza di significato che ha ripartito tra le cose secondo le leggi del pensiero simbolico. Tale pensiero si esercita nella sfera del significato fluttuante. Così si spiegano le contraddizioni e le antinomie del pensiero simbolico, che può esprimere simultaneamente nozioni differenti come forze e azioni, qualità e stato, aggettivo e verbo, astratto e concreto, come ben aveva identificato Aristotele. La capacità di rendere messaggi ambivalenti sembra essere una caratteristica dei Trionfi dei tarocchi. Noi seguiremo questi percorsi simbolici per tentare di decifrare attraverso la storia e la struttura delle icone i significati un tempo
    così chiari e così costruttivi per i giocatori che tenevano in mano queste lamine misteriose e inquietanti.

    1 Il termine arcano fu applicato ai trionfi dei tarocchi da Paul Christian (pseudonimo di Jean Baptiste Pitois) che nel 1870 scrisse una Histoire de la magie nella quale si occupa a lungo dei trionfi che chiama arcani e che collega alla mitologia egizia secondo una tradizione occulta che esamineremo più avanti. Le sue elucubrazioni non ebbero molto successo ma il termine arcani entrò a far parte della terminologia occultistica corrente per le carte dei tarocchi. Oggi tutti usano questo termine nato dalla fantasia di Pitois.
    2 Citato da E.H. GOMBRICH in Immagini simboliche, Torino, 1978, p. 226.
    3 Citato in E. HOWALD, Der Kampf und Creuzer Symbolik, Tubinga, Verlag, 1927, pp. 63ss.


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