il processo inquisitoriale ed i manuali per inquisitori

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    Possiamo sapere come avvenivano i processi inquisitoriali attraverso diverse fonti scritte, una delle più importanti è la "Practica Officii Inquisitionis Hereticae Pravitatis" (il manuale per inquisitori) di Bernard Gui, un trattato in cinque parti, che costituiva un manuale delle prerogative e dei compiti dell'inquisitore: la lista delle maggiori eresie dell'inizio del XIV secolo, le citazioni, le condanne, le istruzioni per gli interrogatori dei membri di un particolare gruppo ne fanno un documento unico per lo studio dell'Inquisizione ai suoi inizi. Quest'opera, di cui si persero le notizie per lungo tempo, fu pubblicata in versione completa dall'abate Douais a Tolosa nel 1886.
    Le quattro sette cristiane di eretici, di cui Gui scrisse furono i Manichei, i Valdesi, gli Apostolici e i Begardi. Gli Ebrei non erano considerati cristiani, ma erano citati come "traditori", come gli stregoni, gli indovini e i negromanti.

    Bernard Gui (che compare come antagonista del protagonista Guglielmo da Baskerville nel romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa) nacque in Francia nel 1261. Ancora ragazzo entrò nel monastero domenicano di Limoges, dove prese i voti nel 1280. Dieci anni dopo divenne priore di Albi e successivamente di Carcassonne, Castres e Limoges.
    Il 16 gennaio 1307 fu nominato inquisitore di Tolosa: durante il suo primo mandato, durato fino al 1316, portò avanti una serie di processi, documentati da nove Sermones, per un totale di 536 sentenze. Fra le prime sue condanne vi furono gli Apostolici di fra Dolcino da Novara. Tra il 1309 e il 1310 Bernardo Gui portò alla condanna a morte i fratelli Pierre e Guillaume Authier, i leader del movimento cataro di rinnovamento.
    Dal 1319 riprese servizio come inquisitore a Tolosa, Albi, Carcassonne e Pamiers. Questo secondo mandato è testimoniato da altri nove sermoni per un totale di 394 sentenze. A differenza del suo predecessore, tacciato di corruzione e avidità di ricchezza, Bernardo Gui si comportò con efficienza e capacità organizzativa, sebbene diversi storici successivi gli imputarono una certa dose di fanatismo.
    Nel totale di 930 sentenze emesse contro gli eretici da Bernardo Gui, 42 furono le esecuzioni capitali, 307 le sentenze di carcere permanente, 139 le assoluzioni e le restanti furono sanzioni che consistevano in penitenze diverse. A un terzo dei condannati fu imposto di indossare un abito con le "croci degli eretici" cucite addosso.
    I quattro anni di pausa tra i due mandati come inquisitore furono apparentemente dovuti al conferimento di importanti uffici per il suo Ordine per conto della Curia di Avignone. Dal 1317 prestò servizio per circa quattro anni come procuratore generale dei Domenicani; papa Giovanni XXII lo inviò con il francescano Bertrand de la Tour come nunzio apostolico in Italia a tenere negoziati di pace tra le città del nord e quelle toscane. Un accordo di pace fu raggiunto in Asti nell'aprile 1318, ma non ebbe l'effetto sperato e, dopo la primavera, i due inviati tornarono ad Avignone.
    Il 21 settembre 1318 entrambi furono incaricati di mediare nel conflitto tra il re di Francia Filippo V e il conte delle Fiandre Roberto di Dampierre. I negoziati furono condotti a Parigi e Compiègne e l'11 ottobre 1318 si conclusero con un accordo di pace.
    Bernardo fu anche coinvolto nella canonizzazione di san Tommaso d'Aquino: sulla base del lavoro di Guglielmo da Tocco scrisse una biografia, la Legenda Sancti Thomae de Aquino (1318-1323), e un elenco ufficiale delle opere del santo (1320). Alla solenne canonizzazione del 18 luglio 1323 fu probabilmente presente.
    Il 26 agosto 1323, quando Bernardo aveva già più di 60 anni, papa Giovanni XXII lo consacrò vescovo di Tui in Galizia. Probabilmente non ne prese mai possesso, perché già nell'estate del 1324 gli fu assegnata la diocesi di Lodève. Qui morì il 30 dicembre 1331 nella sua residenza episcopale di Lauroux, nell'Hérault (Francia sud-occidentale). Secondo la sua volontà, il corpo fu trasferito a Limoges e sepolto nella chiesa del monastero domenicano.

    Il processo inquisitoriale
    Bernard Gui ci spiega che tutto cominciava con una citazione in giudizio, ovvero un mandato di comparizione che invitava il sospetto a presentarsi al cospetto del tribunale. Questo mandato era assegnato al parroco che doveva a sua volta comunicarlo all'interessato. Se l'imputato non si fosse presentato, sarebbe stato soggetto a scomunica. L'accusato aveva l'onere del processo.. Esisteva anche un mandato di cattura che poteva essere usato a discrezione dell'inquisitore, qualora temesse che l'imputato fosse pericoloso e non si volesse presentare al processo.
    Al mandato seguiva una parte istruttoria: se l'inquisitore aveva elementi sufficienti (nella loro raccolta l'inquisitore poteva muoversi liberamente, esistevano infatti vari modi per raccoglierli: le informazioni potevano provenire da tutti, anche dagli infami, che erano persone per le quali, in un processo non inquisitoriale, la testimonianza non era ammessa perché avevano commesso reati in precedenza. Per ragioni di sicurezza gli inquisitori erano liberi di non rivelare la fonte. Bernard Gui sosteneva di non rivelarla mai, anche se Bonifacio VIII aveva ristretto questa facoltà solo a casi particolarmente pericolosi) si passava a stabilire i punti, ovvero gli articula a cui l'imputato doveva rispondere. Egli poteva negare di averli sostenuti o no, poteva dire se li sosteneva ancora o meno. Si passava quindi all'approfondimento del caso attraverso un interrogatorio che avveniva in presenza di un notaio che aveva il compito di annotare i risultati dell'interrogatorio. Quanto veniva scritto era in realtà era una rielaborazione, non una citazione delle parole esatte dell'imputato. Non era prevista la presenza di un avvocato, anche se nel 1400 per i minorenni poteva esserci qualcuno. Ricordiamo che agli inquisitori premeva la confessione dell'imputato, volevano che egli ammettesse le sue colpe, ed erano liberi di utilizzare ogni strumento per ottenerla, anche la tortura. L'ammissione quindi prevedeva la coercizione (carcere, poco cibo, pane e acqua, l'uso di ceppi). Bernard Gui preferiva la coercizione alla tortura, che nel tempo era diventata una possibilità che molti usavano sommariamente (papa Clemente V emise la bolla Multorum querela contro gli arbìtri degli inquisitori).
    In sede pubblica avveniva la sentenza dell'imputato, che se si rivelava pertinace (continuava a sostenere le sue idee ritenute sbagliate) doveva subire una condanna, se invece si dichiarava pentito doveva essere soggetto ad una penitenza . La più grave di queste penitenze era la prigione (anche a vita), ma le altre comprendevano una pena pecuniaria, un pellegrinaggio , la confisca dei beni, l' impossibilità di testimoniare, la prescrizione di alcune pratiche , l'obbligo ad indossare un segno distintivo che segnalasse la sua condizione.
    In caso di pertinacia l'imputato poteva anche subire la pena capitale. In questo caso, il reo veniva consegnato al braccio secolare che eseguiva la condanna a morte con l'uso del rogo. La scelta del fuoco non è affatto casuale, esso infatti non solo preannuncia le fiamme che attenderanno il condannato nell'aldilà, ma ha anche un effetto catartico (quindi di purificazione) del reo stesso e dell'intera comunità dalla peste ereticale. Il rogo, ovviamente, avveniva in pubblico, come esempio per tutti i cittadini, per imprimere nella loro mente gli effetti dell'eresia sull'uomo e per offrire loro la spettacolarità della potenza divina che sconfigge il male.
    Il pentimento del reo comunque era ammesso anche in extremis, però poi egli sarebbe stato costretto a collaborare con l'inquisizione, fornendo nomi e suggerimenti sui suoi complici. Il pentimento dopo la ricaduta (un pentito che veniva trovato a peccare di nuovo di eresia veniva chiamato relapso) era ammesso, ma non concedeva più la vita terrena. Il relapso veniva perdonato, ma nella vita eterna, non in quella terrena, veniva dunque giustiziato.

    Sono stati molti gli inquisitori che hanno scritto manuali, ricordiamo Nicolau Eymerich (inquisitore catalano vissuto nel XIV sec) a cui appartiene il Directorium Inquisitorum, e altri considerati minori.

    per la vita di Gui fonte: wikipedia

    Edited by ~MorganaLeFay~ - 12/9/2018, 12:14
     
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