I vestiti killer dell'Ottocento

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    Una vignetta intitolata "Il valzer dell'arsenico", riferita all'uso di questo elemento per la produzione di abiti e dei fiori artificiali. L'illustrazione comparve sul Punch, una rivista umoristica inglese, dopo la morte per avvelenamento di arsenico di un'operaia di una fabbrica tessile. Immagine per gentile concessione di Bloomsbury and Wellcome Library, London

    Mentre era seduta a casa sua, un pomeriggio del 1861, Fanny, moglie del poeta Henry Wadsworth Longfellow, prese fuoco. Riportò ustioni così gravi che morì il giorno successivo. Secondo il suo necrologio, il fuoco divampò quando "un fiammifero o un pezzo di carta acceso le caddero sul vestito".

    Nell'Ottocento non era un modo insolito di morire. In un'epoca in cui candele, lampade a olio e caminetti illuminavano e riscaldavano le case europee e americane, le ampie gonne e gli abiti di cotone e tulle delle donne erano a perenne rischio d'incendio, diversamente dagli abiti maschili, di lana e più aderenti.

    Ma i rischi non si fermavano agli abiti da donna: la moda, all'epoca, era piena di pericoli. Le calze colorate con l'anilina davano infiammazioni ai piedi degli uomini, e portavano agli operai che li producevano dolori e perfino tumori della vescica. I trucchi al piombo usati dalle donne danneggiavano i nervi dei polsi, tanto che molte non riuscivano più in grado di alzare le mani. I pettini di celluloide, che alcune donne usavano per ornare le loro acconciature, esplodevano se si scaldavano troppo. Un giornale di Pittsburgh raccontò il caso di un uomo che aveva perso la vita "mentre si prendeva cura della sua lunga barba grigia" con un pettine di celluloide. A Brooklyn esplose una fabbrica di pettini.

    Alcuni dei vestiti più alla moda dell'epoca erano prodotti con sostanze che oggi consideriamo troppo tossiche per poterle usare. Ed era chi produceva questi vestiti, più di chi li usava, a pagare il prezzo più alto.

    I cappellai iniziarono a usare il mercurio per trattare la pelliccia di lepre e di coniglio intorno al 1730. Il cappello in fotografia è del XIX secolo, e le analisi hanno confermato che contiene ancora tracce del pericoloso metallo. Fotografia di Ron Wood, Courtesy Bata Shoe Museum

    Mal di mercurio

    Secondo un'interpretazione (peraltro non condivisa dagli studiosi) il modo di dire inglese "matto come un cappellaio" si riferisce ai problemi psichici e fisici causati dal mercurio utilizzato nella lavorazione dei cappelli. Quello che è certo è che molti cappellai soffrivano di avvelenamento da mercurio; e anche se il Cappellaio Matto di Alice nel paese delle meraviglie è un personaggio divertente, si trattava di una malattia debilitante che portava spesso alla morte.

    Nel Settecento e nell'Ottocento, molti cappelli maschili di feltro erano confezionati a partire da pellicce di lepre e coniglio. E per legare le pellicce tra loro in modo da formare il feltro, i cappellai le immergevano in una soluzione di nitrato di mercurio.

    "È estremamente tossico", spiega Alison Matthews David, autrice del libro Fashion victims: the dangers of dress past and present. "Soprattutto se inalato. Finisce dritto nel cervello".

    Uno dei primi sintomi è rappresentato dai disturbi neuromotori, come il tremore. In America si parlava di Danbury shakes, "tremarella di Danbury", dal nome di una cittadina del Connecticut rinomata per la produzione di cappelli.

    Poi c'erano i problemi psicologici. "Diventi estremamente timido, estremamente paranoico", spiega Matthews David. Quando i medici visitavano i cappellai per studiarne i sintomi, questi ultimi "pensavano di essere spiati, gettavano a terra i loro strumenti e s'infuriavano".

    Molti cappellai sviluppavano anche problemi cardiorespiratori, perdevano i denti e morivano in giovane età.

    Questi effetti erano ben documentati, ma molti li consideravano un rischio da accettare per poter lavorare. Inoltre, il mercurio danneggiava solo i cappellai, non coloro che indossavano i cappelli, che erano protetti dalla fodera interna.

    "Ci fu qualche protesta da parte dei cappellai per chiedere migliori condizioni di lavoro", spiega Matthews David. "Ma in realtà, l'unica cosa che ha messo fine all'uso del mercurio è che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, i cappelli da uomo sono passati di moda. È allora che è sparito. In Inghilterra il suo utilizzo non è mai stato vietato".

    L'arsenico era impiegato sia come colorante che come vernice. Non erano solo gli abiti verdi e i fiori artificiali raffigurati in quest'incisione del 1840 a contenere arsenico, ma anche l'illustrazione stessa. Immagine per gentile concessione di Alison Matthews David

    Arsenico e vecchi merletti

    L'arsenico era ovunque, nell'Inghilterra vittoriana. Nonostante la sua fama di veleno, questo elemento naturale ed economico veniva usato per confezionare candele, tende e carta da parati, scrive James C.Whorton nel suo libro The arsenic century: how victorian Britain was poisoned at home, work and play.

    Usato come colorante, l'arsenico produce un colore verde brillante, per cui finiva in vestiti, guanti, sciarpe, e nei fiori artificiali che le donne usavano per decorarsi abiti e capelli. Questi ultimi, in particolare, potevano causare irritazioni alla pelle in chi li portava. Ma, spiega Matthews David, come per i cappelli al mercurio, anche i colori all'arsenico era ben più pericoloso per gli operai che la producevano. Nel 1861, ad esempio, un'operaia di 19 anni di nome Matilda Scheurer, il cui lavoro prevedeva di spolverare i fiori con la polvere corretta all'arsenico, fece una morte tanto violenta quanto colorata. Cominciò ad avere le convulsioni, vomito, schiuma alla bocca. La sua bile si fece verde, così come le unghie e il bianco degli occhi. L'autopsia le trovò arsenico nello stomaco, nel fegato e nei polmoni.

    Gli articoli sulla morte della ragazza attirarono l'attenzione del pubblico sul problema dell'arsenico. Il British Medical Journal scrisse che una donna con indosso abiti tinti con l'arsenico "porta nella gonna tanto veleno che metà basterebbe per uccidere tutti gli ammiratori che la avvicinassero in mezza dozzine di sale da ballo". Tra la metà e la fine dell'Ottocento, il pubblico cominciò a rifiutare la mortale sfumatura di verde.

    In fotografia è rappresentato un esperimento condotto nel 1910 dal Comitato britannico per la prevenzione degli incendi per dimostrare quanto fossero infiammabili i tessuti di flanella. L'abito a sinistra era stato reso "antincendio", quello a destra, non trattato, era stato distrutto dal fuoco nel giro di un minuto. Fotografia per gentile concessione di Bloomsbury and Wellcome Library, London

    Moda sicura

    La preoccupazione pubblica riguardo all'uso dell'arsenico aiutò a farlo passare di moda: Scandinavia, Francia e Germania bandirono il pigmento (l'Inghilterra, invece, no). L'invenzione dei coloranti sintetici rese ancora più facile la transizione.

    Questo non vuol dire che i "vestiti assassini" (per chi li produce) non esistano più: tutt'altro. Nel 2009 in Turchia è stata vietata la sabbiatura, ossia la pratica di strofinare il tessuto di jeans con la sabbia per dargli un aspetto consumato: respirando i granelli di sabbia, i lavoratori contraevano la silicosi, una malattia spesso incurabile.

    Il problema è che se la domanda di un prodotto pericoloso resta alta, la produzione non fa che spostarsi dal paese che l'ha proibita in un altro più permissivo. L'anno scorso, Al Jazeera ha scoperto che la sabbiatura era ancora usata in alcune fabbriche tessili cinesi.

    La differenza è che gli uomini e le donne dell'Ottocento potevano incontrare per le strade di Londra gli operai rovinati dal mercurio dei loro cappelli o dall'arsenico dei loro vestiti, o almeno leggere qualche notizia sui giornali. Nell'economia globalizzata, invece, molti di noi non vedranno mai gli effetti mortali che le nostre scelte in fatto di moda hanno sugli altri.

    Tratto da:
    www.nationalgeographic.it/wallpaper...274387/4/#media
     
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    Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi in mezzo a biasimi e lodi (Buddha)

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    Davvero incredibile, ho sempre pensato che un tempo si usassero materiali più naturali,. :unsure:
     
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