Sud Sudan - 54o Stato Africano

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    Il Sudan del Sud: l’ennesima comunità immaginata
    di Mahmoud Jaran


    E il fiume, il fiume, che se non ci fosse, non vi sarebbe né inizio, né fine, scorre verso nord, senza badare a nulla; se una montagna gli sbarra il passo egli si volge ad oriente, e se una depressione gli si fa incontro egli volge ad occidente, ma presto o tardi si stabilirà nel suo corso obbligato dalla parte del mare, a nord.

    La stagione della migrazione a nord (1966), Tayeb Salih (scrittore sudanese).

    Nel suo volume Comunità immaginate, lo storico statunitense Benedict Anderson inserisce la sua famosa definizione di nazione come “comunità politica immaginata, e immaginata come intrinsecamente insieme limitata e sovrana” (1) . La comunità immaginata, secondo l’autore, è nata dopo il feudalesimo, con lo sviluppo del capitalismo, poiché le gerarchie feudali permettevano l’esistenza di rapporti al di sopra delle frontiere nazionali o linguistiche. La borghesia capitalista, invece, creava interessi condivisi all’interno di una stessa classe sociale e di una geografia delimitata, dando origine a legami tra persone tra loro sconosciute e che non avevano necessariamente opinioni o interessi in comune.

    ***

    Il 9 luglio 2011 è nata una nuova “comunità immaginata”, il Sudan del Sud, il 54esimo stato africano che va ad aumentare l’elenco delle attuali 193 nazioni riconosciute sovrane a livello internazionale.

    Prima di esultare per l’indipendenza ottenuta in questa regione, varrebbe la pena ricordare che il Sudan (nord e sud) è originariamente un prodotto dell’espansionismo coloniale anglo-egiziano: un territorio vastissimo poco popolato, con risorse molto esigue; l’80% dei giacimenti di petrolio, comunque, si trova nel Sud. È abitato da tribù arabo-musulmane nel nord e, nel sud, da popoli “negroidi di ceppo africano” (la parola araba ‘sudan’ significa, appunto, nero) di religione prevalentemente animista e cristiana.

    La collocazione geografica del Sudan ha fatto sì che il Paese entrasse in contatto con esperienze storico-culturali diverse: dalla civiltà faraonica egizia alla civiltà cristiana etiope; da quella islamica della penisola arabica a quella pagana del centro Africa. Tale complessità, col tempo, è diventata parte integrante della realtà sociale sudanese, in cui convivono attualmente diverse culture, varie lingue, religioni ed etnie in uno stesso vasto territorio, morfologicamente disomogeneo, per lo più pianeggiante con un nord prevalentemente desertico.

    Non si può trascurare che le contraddizioni, in questo mosaico etnico, sono state oggetto di soffocamento politico per più di mezzo secolo da parte del potere imperiale britannico che ha attuato la cosiddetta “Southern Policy”, la quale prevedeva, già dagli inizi del secolo scorso, la netta separazione tra il Sud ed il Nord. Ciò avvenne sul piano commerciale, politico-amministrativo, ma, soprattutto, su quello culturale. L’amministrazione coloniale, infatti, vietò nel Sud la diffusione dell’Islam nonché delle usanze arabe, favorendo invece i costumi africani, che meglio potevano integrarsi con i popoli dell’Africa orientale britannica.

    Una volta ottenuta l’indipendenza, nel febbraio del 1953, il Sudan si trovò ad affrontare una situazione tipica dei nuovi stati postcoloniali: il Nord ed il Sud del Paese si ritrovarono a dover convivere da soli in un unico contenitore statale artificiale causando la tragedia di conflitti interetnici che hanno condotto a due guerre civili considerate tra le più lunghe del continente nero.

    Non è sorprendente, perciò, che la politica di Khartoum, all’indomani dell’indipendenza, abbia fatto ricorso ad un’agenda caratterizzata da un orgoglio nazionalista e religioso, come si vede nei programmi di arabizzazione e islamizzazione o addirittura sudanizzazione in tutto il Paese, tese ad unificare, sotto ogni aspetto, la nazione nascente.

    Tale politica conservatrice, a cui si sono aggiunte misure ostili alla cultura della modernizzazione che tormentano il Sudan da almeno mezzo secolo, non hanno reso vita facile all’attuale regime di Al-Bashir, costretto a dover affrontare numerosi e seri problemi, sia in campo internazionale che nella vita politica interna.

    Oltre alla questione meridionale, un esempio indicativo della crisi politica post-coloniale è sicuramente la questione del Darfur. Il conflitto della regione occidentale del Sudan è noto a livello internazionale a partire dal 2003. Questo venne definito dall’Onu “il disastro umanitario più grave del mondo”(2) . In realtà, questo conflitto è, in qualche modo, la conseguenza di un’ideologia che si protrae dall’epoca coloniale e che ancora oggi rivela le problematiche politiche di uno stato, il cui spazio geografico è stato definito dall’esterno, ossia dal potere imperiale.

    Insieme al conflitto nel Darfur, sono emersi negli ultimi anni altri problemi riguardanti la corruzione della classe dirigente, la scarsità dei servizi pubblici e la violazione dei diritti umani. Il rapporto per il 1997 del Bureau of Democracy, Human Rights and Labor delle Nazioni Unite rivela massacri di popolazioni civili con mutilazioni, discriminazione contro le donne, abusi contro l’infanzia, restrizioni sui diritti dei lavoratori e problemi che concernono il lavoro minorile, la schiavitù ed il lavoro forzato (3) .

    Dal 9 luglio scorso, il Sudan non è più lo stesso. La regione meridionale godeva, fino a quel momento, dello status di “regione autonoma”, ma adesso si è trasformata in uno Stato indipendente a seguito del referendum regionale, svoltosi nel gennaio scorso, in cui il 98% della popolazione si è dichiarata favorevole all’indipendenza. Il governo di Khartoum, da sempre nemico acerrimo di ogni iniziativa separatista, oggi dimostra di rispettare la volontà degli ex-connazionali, al punto da essere il primo a riconoscere il nuovo stato “fratello”.

    Ciò sta a significare che gli storici conflitti tra Nord e Sud sono terminati? Ovviamente no. Non si fa e non si concede niente per niente. In più, un mandato d’arresto pende sulla testa di Omar Al-Bashir, presidente del Nord, condannato dal Tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità. La sua posizione non gli ha concesso di lottare ulteriormente per l’unità del Sudan, per il semplice motivo che il suo governo non può reggere un ulteriore isolamento internazionale.

    Le principali controversie che permangono e probabilmente porteranno i due Paesi in questione a future crisi diplomatiche saranno il petrolio, l’acqua ed i confini.

    La ripartizione dei proventi del petrolio è di fondamentale importanza economica per entrambi: i giacimenti petroliferi si trovano, infatti, in gran parte, nel Sud, ma gli oleodotti per trasportare l’oro nero attraversano il Nord. Inoltre, il Nord, più avanzato, possiede impianti di raffinazione, un ampio porto ed infrastrutture molto più sviluppate rispetto al nuovo stato, soprattutto grazie agli investimenti della Cina, la cui influenza è tale da essere considerata la nuova colonizzatrice del Sudan. Il Nord parte quindi in gran vantaggio e si giocherà tutte le sue carte pretendendo comunque il 50% degli introiti derivanti dal petrolio.

    Quanto alla questione dell’acqua, il nuovo stato dovrà scegliere se riconoscere l’accordo sulla spartizione dell’acqua del Nilo, stipulato nel 1959, che concede al Sudan ed all’Egitto il controllo di oltre il 90% del fiume, oppure se firmare un nuovo trattato Rwanda, Etiopia, Uganda, Tanzania e Kenya (Paesi che negli ultimi anni chiedono con toni sempre più insistenti una condivisione più “equa” delle acque).

    Un’altra problematica da affrontare riguarderà i confini: non esiste, infatti, alcuna frontiera, né naturale, né artificiale tra il Sud ed il Nord. La regione di Abyei continua ad essere ancora contesa fra i due stati e, pertanto, rimarrà, per il momento, una regione a statuto speciale. Probabilmente sarà la popolazione, con un altro referendum, a decidere a quale dei due stati Abyei apparterrà. La parola “referendum” suona molto democratica, ma non esclude che tra i due stati scoppi la tensione e torni il fantasma di una nuova guerra civile. Pare, finora, che il Nord ed il Sud stiano fingendo di vivere in una situazione idilliaca priva di contese e che il tavolo del dialogo sia l’unica via percorribile per un accordo sugli interessi.


    ***

    Da qualche parte nel Vicino Oriente, il nostro insegnate di geografia di quarta elementare ci teneva ad insegnarci che il mondo arabo è molto vasto e vario. Ci diceva che il Sudan è il Paese arabo più esteso; l’Egitto ha il fiume più lungo ed il Libano è l’unico Paese arabo senza deserto. Sembra ieri. Adesso so che tutto ciò era immaginario. Non solo il Sudan smette di essere il Paese più grande, ma assiste anche alla nascita di un nuovo stato dal suo interno: da un parto cesareo viene alla luce un neonato già mutilato – un’ennesima comunità immaginata che non può che riferirsi all’ultima barzelletta del colonialismo moderno.


    Note

    1 Benedict Anderson, Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, manifestolibri, Roma 1996, pp. 26-27. (torna a leggere)

    2 Stefano Cera, Le sfide della diplomazia internazionale. Il conflitto di Darfur, l’escalation della questione cecena. I sequestri di ostaggi del teatro Dubrovka e della scuola di Belsan, Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano 2006, p. 19. (torna a leggere)

    3 Cfr. Irene Panozzo, Il dramma del Sudan. Specchio dell’Africa, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2000, p. 93. (torna a leggere)

    Fonte: www.lolandesevolante.net/blog/2011/...ita-immaginata/

    Edited by Nausicaa* - 20/12/2013, 14:41
     
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    Purtroppo è in corso una guerra etnica in questo piccolo ma ricco stato (per il petrolio, 3o dopo Angola e Nigeria). Migliaia le persone uccise, personale internazionale evacuato.

    Ennesimo bagno di sangue a questo mondo !
     
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1 replies since 23/8/2011, 10:45   123 views
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