Il Carnevale di Venezia

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    Carnevale
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    Proverbio
    « Semel in anno licet insanire. (Una volta all'anno è lecito impazzire.) »
    « A carnevale ogni scherzo vale. »


    Il carnevale è una festa che si celebra nei paesi di tradizione cristiana (soprattutto in quelli di tradizione cattolica). I festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi; in particolare, l'elemento distintivo e caratterizzante del carnevale è l'uso del mascheramento.

    Origini e storia

    Benché facente parte della tradizione cristiana, i caratteri della celebrazione carnevalesca hanno origini in festività ben più antiche, come ad esempio le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani, che erano espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza. Da un punto storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento, seppur per lo più simbolico, durante il quale il caos sostituiva l'ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all'inizio del carnevale seguente.[1] Il ciclo preso in considerazione, è in pratica, quello dell'anno solare.

    Nel mondo antico anche le feste in onore della dea egizia Iside comportavano la presenza di gruppi mascherati, come attesta lo scrittore Lucio Apuleio nelle “Metamorfosi” (libro XI). Presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurio Veturio[2]. Durante le antesterie passava il carro di colui doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale.[3] In Babilonia poco dopo l'equinozio primaverile veniva riattualizzto il processo originario di fondazione del cosmo , descritto miticamente dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat. Durante queste cerimonie si svolgeva una processione nella quale erano allegoricamente rappresentate le forze del caos che contrastavano la ri-creazione dell'universo. Si trattava di un periodo di passaggio di cui il transito degli astri era considerato la manifestazione[4]. Nella processione vi era anche un carro a ruote sul quale stavano le allegorie del dio Luna o del dio Sole.[5]

    Il noto storico delle religioni Mircea Eliade scrive nel saggio Il Mito dell'Eterno Ritorno: "Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine dell’anno e nell’attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia"[6]. Più oltre Eliade (op.cit, p. 78) afferma che “allora i morti potranno ritornare, poiché tutte le barriere tra morti e vivi sono rotte (il caos primordiale è riattualizzato) e ritorneranno giacché in questo momento paradossale il tempo sarà annullato ed essi potranno di nuovo essere contemporanei dei vivi"[7]. Le cerimonie carnevalesche, diffuse presso i popoli Indoeuropei, mesopotamici, nonché di altre civiltà hanno perciò anche una valenza purificatoria e dimostrano il "bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente abolendo il tempo trascorso e riattualizzando la cosmogonia"[8].

    Eliade sottolinea pure che "la restaurazione del caos primordiale, in quanto tale, precede ogni creazione, ogni manifestazione di forme organizzate" e che "sul livello cosmologico l'orgia corrisponde al Caos o alla pienezza finale; nella prospettiva temporale, l'orgia corrisponde al Grande Tempo, all'"istante eterno", alla non - durata. La presenza dell'orgia nei cerimoniali che segnano divisioni periodiche del tempo, tradisce una volontà di abolizione integrale del passato mediante l'abolizione della Creazione. La "confusione delle forme" è illustrata dallo sconvolgimento delle condizioni sociali (nei Saturnali lo schiavo è promosso padrone, il padrone serve gli schiavi; in Mesopotamia si deponeva e si umiliava il re, ecc.), dalla sospensione di tutte le norme, ecc. Lo scatenarsi della licenza, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, ad altro non mirano che alla dissoluzione del mondo - la comunità è l'immagine del mondo - e alla restaurazione dell'illud tempus primordiale ("quel tempo", il Grande Tempo mitico e a - storico delle origini; N.d.R.), che è evidentemente il momento mitico del principio (caos) e della fine (diluvio universale o ekpyrosis, apocalisse). Il significato cosmologico dell'orgia carnevalesca di fine anno è confermato dal fatto che al caos segue sempre una nuova creazione del Cosmo"[9].

    Il carnevale si inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce ad una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, quando la terra comincia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi (anche Arlecchino ha una chiara origine infera). Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell' essere " soprannaturale " rappresentato. Queste forze soprannaturali creano un nuovo regno della fecondità della Terra e giungono a fraternizzare allegramente tra i viventi . Alla fine il tempo e l'ordine del cosmo , sconvolti nella tradizione carnevalesca, vengono ricostituiti (nuova Creazione) con un rituale comprendente la lettura di un "testamento” e il "funerale" del carnevale il quale spesso comporta il bruciamento del "Re carnevale" rappresentato da un fantoccio (altre volte l 'immagine - simbolo del carnevale è annegata o decapitata). Tale cerimonia avviene in molte località italiane, europee ed extraeuropee (sulla morte rituale del carnevale si veda anche Il Ramo d'Oro di James George Frazer).

    È interessante altresì notare che vari significati cosmologici del Carnevale erano presenti anche nel Samhain celtico.

    Nel XV e XVI secolo, a Firenze i Medici organizzavano grandi mascherate su carri chiamate “trionfi” e accompagnate da canti carnascialeschi, cioè canzoni a ballo di cui anche Lorenzo il Magnifico fu autore. Celebre è il Trionfo di Bacco e Arianna scritto proprio da Lorenzo il Magnifico. Nella Roma del governo papalino si svolgevano invece la corsa dei barberi (cavalli da corsa) e la "gara dei moccoletti" accesi che i partecipanti cercavano di spegnersi reciprocamente.

    La parola carnevale deriva dal latino "carnem levare" ("eliminare la carne")poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l'ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.[10]

    Quanto all'etimologia, " il termine deriva da carne-(le)vare, con dissimilazione della seconda -r- in -l- , riferito alla vigilia della Quaresima giorno in cui era interdetto l'uso della carne "[11]. Le prime testimonianze dell'uso del vocabolo "carnevale" (detto anche "carnevalo") vengono dai testi del giullare Matazone da Calignano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi verso il 1400.[12]


    Il Carnevale non termina ovunque il Martedì grasso: fanno eccezione il Carnevale di Viareggio, il Carnevale di Ovodda[13], il carnevale di Poggio Mirteto ed il carnevale di Borgosesia. In diversi Carnevali il martedì grasso si rappresenta, spesso con un falò, la "morte di Carnevale".


    Una tipica maschera carnevalesca di foggia veneziana I Carnevali "maggiori"


    Carro allegorico del Carnevale di ViareggioIl Carnevale di Venezia, il Carnevale di Viareggio, il Carnevale di Verona e lo Storico Carnevale di Ivrea sono considerati tra i più importanti al mondo. La loro fama, difatti, travalica i confini nazionali e sono in grado di attrarre turisti sia dall'Italia che dall'estero. Il Carnevale più lungo d'Italia è però quello di Putignano. Il Carnevale di Venezia è conosciuto per la bellezza dei costumi, lo sfarzo dei festeggiamenti nella magica atmosfera della Laguna e consta di diversi giorni fitti di manifestazioni di svariato tipo: mostre d'arte, sfilate di moda, spettacoli teatrali ecc. Il Carnevale di Viareggio è uno dei più importanti e maggiormente apprezzati carnevali a livello internazionale. A caratterizzarlo sono i carri allegorici più o meno grandi che sfilano nelle domeniche fra gennaio e febbraio e sui quali troneggiano enormi caricature in cartapesta di uomini famosi nel campo della politica, della cultura o dello spettacolo, i cui tratti caratteristici, specialmente quelli somatici, vengono sottolineati con satira ed ironia. I carri, che sono i più grandi e movimentati del mondo, sfilano lungo la passeggiata a mare viareggina, un viale di oltre tre chilometri che si snoda tra la spiaggia e gli edifici di stile liberty che si affacciano sul mar Tirreno. Il Carnevale di Verona risula essere uno dei più antichi tant'è che la maschera principale della città, il Papà del Gnocco, nata nel 1531 è la più antica al mondo e viene festeggiata apunto il Venere Gnocolar con la sfilata dei carri nel centro cittadino. Lo Storico Carnevale di Ivrea, famoso per il suo momento culminante della Battaglia delle Arance,è invece considerato uno tra i più antichi e particolari al mondo[14], seguendo un cerimoniale più volte modificatosi nel corso dei secoli. L'intero carnevale ha il pregio di rappresentare, sotto forma di allegoria, la rivolta dei cittadini per la libertà dal tiranno della città, probabilmente raineri di Biandrate, ucciso dalla Mugnaia su cui si apprestava ad esercitare lo jus primae noctis. Fu quell'evento a innescare la guerra civile rappresentata dalla battaglia tra il popolo e le truppe reali che viene rievocata durante il carnevale, dove le squadre di Aranceri a piedi (ossia il popolo) difendono le loro piazze dagli aranceri su carri (ossia l'esercito) a colpi di arance a rappresentare le frecce, mentre tra le vie della città sfila il corteo della Mugnaia che lancia dolci e regali alla popolazione. La Puglia è la regione italiana con il maggior numero di manifestazioni abbinate alla lotteria nazionale del carnevale: il già citato Carnevale di Putignano, Carnevale di Massafra, Carnevale di Gallipoli, Carnevale Dauno a Manfredonia.

    Carnevale ambrosiano

    Spilla di latta, con i ritratti di Meneghino e Cecca, la coppia tipica del Carnevale Ambrosiano, del Carnevalone 1885Dove si osserva il rito ambrosiano, ovvero nella maggior parte delle chiese dell'arcidiocesi di Milano e in alcune delle diocesi vicine, la Quaresima inizia con la prima domenica di Quaresima; l'ultimo giorno di carnevale è il sabato, 4 giorni dopo rispetto al martedì in cui termina dove si osserva il rito romano.

    La tradizione vuole che il vescovo sant'Ambrogio fosse impegnato in un pellegrinaggio e avesse annunciato il proprio ritorno per carnevale, per celebrare i primi riti della Quaresima in città. La popolazione di Milano lo aspettò prolungando il carnevale sino al suo arrivo, posticipando il rito delle Ceneri che nell'arcidiocesi milanese si svolge la prima domenica di Quaresima.

    In realtà la differenza è dovuta al fatto che anticamente la Quaresima iniziava dappertutto di domenica, i giorni dal mercoledì delle Ceneri alla domenica successiva furono introdotti nel rito romano per portare a quaranta i giorni di digiuno effettivo, tenendo conto che le domeniche non erano mai stati giorni di digiuno.

    Questo carnevale, presente con diverse tradizioni anche in altre parti dell'Italia, prende il nome di carnevalone.

    Per la Chiesa cattolica

    Tradizionalmente nei paesi cattolici, il Carnevale ha inizio con la Domenica di Settuagesima (la prima delle sette che precedono la Settimana Santa secondo il calendario Gregoriano); finisce il martedì precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l'inizio della Quaresima. La durata è perciò di due settimane e due giorni. Il momento culminante si ha dal Giovedì grasso fino al martedì, ultimo giorno di Carnevale (Martedì grasso). Questo periodo, essendo collegato con la Pasqua (festa mobile), non ha ricorrenza annuale fissa ma variabile. Per questo motivo i principali eventi si concentrano in genere tra i mesi di febbraio e marzo.

    Per la Chiesa cattolica il Tempo di Carnevale è detto anche Tempo di Settuagesima. Essa considera il Carnevale (Settuagesima) come un momento per riflettere e riconciliarsi con Dio. Si celebrano le Sante Quarantore (o carnevale sacro), che si concludono, con qualche ora di anticipo, la sera dell'ultima domenica di carnevale. La chiesa cattolica ha però durante il corso della storia, condannato il Carnevale in quanto contrario ai dettami di rigore imposto dall'istituzione stessa. Secondo antiche tradizioni il Carnevale durava l'intero periodo invernale, dal giorno di commemorazione dei defunti sino al primo giorno di Quaresima ed il travestimento serviva non a nascondere la propria identità sebbene a rimandarne ad un'altra. L'antica tradizione riporta anche alla celebrazione del ricordo della Strage degli Innocenti allorquando un bambino nominato episcopellus esercitava il suo effimero potere semel in anno sino al giorno del 28 dicembre, dì indicato per il ricordo della strage di infanti ordinata da Erode.

    Carnevale Italiano: la Cerimonia

    Il carnevale italiano è stato il tema portante della Cerimonia di chiusura dei XX Giochi olimpici invernali tenutasi il 26 febbraio 2006 presso lo Stadio Olimpico di Torino (già Stadio Comunale). Uno show seguito da circa 800 milioni di telespettatori che ha visto protagoniste le maschere del Carnevale di Viareggio e le icone della tradizione italiana.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Carnevale


    Per quanto riguarda l'Etimologia della paraola ecco un articolo di

    Ezio Savino

    Carnevale, ogni tradizione vale

    Il Giornale - 3 febbraio 2008

    Che significato ha il termine Carnevale? E quali sono le origini di questa “sfrenata” festività. Ezio Savino, sottolineando che fra gli studiosi non vi è accordo, riprende le interpretazioni più accreditate fra antropologi, linguisti e studiosi del folklore europeo.
    Alcuni collegano l’etimologia della parola carnevale alle espressioni Carnem levare (sparecchiare la carne) o carne, vale! (addio carne!), e sarebbe quindi un chiaro riferimento all’astinenza dal mangiar carne tipica del periodo immediatamente successivo: la quaresima. Altri studiosi vedono un collegamento con l’espressione carni levamen (sollievo alla carne) intesa come la fine delle sofferenze terrene, cioè la morte, e quindi il carnevale sarebbe un rito di passaggio in cui si muore e si rinasce a nuova vita. Florens Christian Rang, autore della Psicologia storica del carnevale, ricollega il carnevale a currus navalis, nave mistica della tradizione caldaica e babilonese, antesignana della “nave dei folli” di epoca rinascimentale.

    Si sferra a Rio de Janeiro, felicidade trasgressiva, a orologeria, nello spazio idoneo del sambodromo, chiusa fra transenne, nel tempo comandato. Luccica nelle calli di Venezia. Si sganascia sui carri «allegorici» [...] di Viareggio. Ritmi folli in musica. Maschere. Il corteo, pellegrinaggio in miniatura verso un mondo che non c’è, precario e liberatorio.
    Sono tre attributi fra i tanti di sua maestà, il re Carnevale, un bengodi di scavo e di diatriba per etnografi, storici del folklore e psicologi. Perfino i linguisti si accapigliano sull’origine del nome. Ma siccome nomen omen, nel nome è già incastonato il reale, da lì è bello e curioso partire.
    Preso atto che il caramantran francese (carême entrant, «quaresima prossima») è un localismo dall’assonanza un po’ sfuocata, tre etimologie accreditate tirano in ballo la carne, pietanza, o fragile involucro del nostro ossame. Carnem levare, «sparecchiare la carne» e carne, vale! «addio carne» sono ovvie allusioni al tirare la cinghia nella quarantena di dieta leggera, a purificazione, in attesa della rinascita pasquale.
    Nel Medioevo, vera culla storica del carnevale, il popolo minuto di proteine ne addentava già poche. Per questo fantasticò di un paese dove «chi più dorme, più guadagna», «meno si lavora, e più si magna», vale a dire Cuccagna, retto da Poltroneria regina, che di politica sa poco, ma in compenso procura che le salsicce fioriscano sui rami, i fiumi siano bicolori (vino bianco e nero), e il caro-vita crolli al minimo, perché le strade sono pavimentate di monete d’oro, per altro inutili, visto che le oche stanno rosolandosi da sole sugli spiedi a ogni angolo di piazza.
    I pensatori sbandieravano le loro Utopie, filosofiche e noiose? Il contadiname (alla Baldus, l’eroe maccheronico del genio cinquecentesco Folengo) vi contrapponeva il suo sogno, grondante sugo, nel quale s’impastavano le due fantasie più grasse, come leggiamo nell’anonimo Trionfo di Carnevale nel paese di Cuccagna, stampato da Fernando Bertelli nel 1562. Un’onda lunga, se già in una fanfaronata goliardica datata 1162 troneggia un Abbas Cucaniensis, chierico gaudente che s’incastellava dalle parti di Treviso. Al pais di Coquaigne, come narrano i fablieau del ‘200, bisognava scarpinare [...], parodiando le ascetiche passeggiate che maceravano piedi e spirito fino a Santiago o alla Veronica di Roma. E a Cuccagna era logico andare in allegre brigate. Ecco, secondo alcuni eruditi, l’origine del corteo carnascialesco. C’è un terzo spiraglio, latineggiante anch’esso, sui primordi del carnevale: carni levamen, «sollievo alla carne». Non travisiamo. In questi ambiti, spesso il contrario è più autentico di ciò che sembra d’acchito. L’espressione potrebbe non essere salutistica, spia di un regime alimentare «magro» e igienico, privo di pollame e bistecche. Indicherebbe invece il placarsi delle sofferenze terrene, la morte, il transi, come si diceva in quei secoli che tra pestilenze, guerre endemiche, carestie ripetute, epidemie e incendi avevano educato tutti all’idea che siamo di svelto passaggio. La morte trionfava. Letteralmente. Ognia omo more, era il funebre ritornello e da questo macabro immaginario gli artisti avevano tratto raffigurazioni pittoriche, miniature, affreschi, cicli iconografici.
    Il tunnel dell’orrore comincia con l’incontro agghiacciante: tre raffinati cavalieri s’imbattono in scheletri ghignanti. È un affresco del Duomo di Atri, ma il motivo serpeggia in tutta Europa, per culminare nella spettacolare vittoria della Grande Falciatrice che nell’allegoria dipinta a Siena da Ambrogio Lorenzetti, verso il 1330, orchestra un Armageddon, uno scontro finale da incubo. Da qui alla Danza Macabra il passo è breve. La troviamo sulla facciata dell’Oratorio dei Disciplini a Clusone, in Val Seriana, tragicomico balletto, con una schiera di fatui viventi che incedono ciascuno sottobraccio al suo scheletro personale. E al Museo del Prado, a Madrid, il visitatore fa gli scongiuri davanti al Trionfo della Morte di Pieter Bruegel il Vecchio (1562), dove in un incendio rosso da fine del mondo, una masnada di guerrieri senza volto, mascherati da scheletri, travolge i vivi, gigantesco Halloween. Morire per rinascere. Nel carnevale si muore per gioco, in maschera. Secondo gli studiosi, la scura visiera di Arlecchino è un segno funebre, il vestito bianco di Pulcinella uno svolazzante sudario. È il filone infero, esorcizzante, che s’insinua nell’allegria forzata della settimana grassa. E che fluisce da molto lontano, da cerimonie antiche, come le Antesterie greche o i Saturanalia romani. Queste feste si aprivano il 17 di dicembre, vigilia del solstizio, quando l’astro solare pare smorire nel suo cerchio più basso, per poi rinascere nel nuovo ciclo perenne. Proprio come la terra, che dalla gelida aridità invernale si prepara al passaggio verso la fecondità primaverile.
    Tutto si rovescia. Anche il mondo umano si concede una temporanea, spensierata trasformazione. I padroni si rimboccano le maniche e servono a tavola. Gli schiavi comandano. Perfino l’imperatore indossa il pilleum a cono (l’antenato del nostro berretto di cartone che spunta nei veglioni, tra brindisi e coriandoli) che nella vita ordinaria è il copricapo del sottoposto. Florens Christian Rang, nel suo Psicologia storica del carnevale [...] riconduce carnevale a currus navalis, imbarcazione mistica che dalle antichità caldaiche e babilonesi, attraverso Iside, divinità lunare egizia incorporata nel pantheon romano, conduce alla «nave dei folli», di rinascimentale memoria, incunabolo di quel magico tempo in pausa che noi, contemporanei, riviviamo inconsciamente quando ci gettiamo nel marasma del sabato grasso. [...]

    Florens Christian Rang, Psicologia storica del carnevale, Bollati Boringhieri 2008, pp. 126, € 9.

    tratto da: www.pbmstoria.it/giornali3289
     
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    Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi in mezzo a biasimi e lodi (Buddha)

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    Carnevale di Venezia



    Le origini

    Le sue origini sono molto antiche: la prima testimonianza risale ad un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di divertimenti pubblici e nel quale il vocabolo Carnevale viene citato per la prima volta. L’istituzione del Carnevale da parte delle oligarchie veneziane è generalmente attribuita alla necessità della Serenissima, al pari di quanto già avveniva nell’antica Roma (vedi panem et circenses), di concedere alla popolazione, e soprattutto ai ceti più umili, un breve periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale i veneziani e i forestieri si riversavano in tutta la città a far festa con musiche e balli sfrenati.

    Attraverso l’anonimato che garantivano maschere e costumi, si otteneva una sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia. Evidentemente tali concessioni erano largamente tollerate e considerate un provvidenziale sfogo alle tensioni e ai malumori che si creavano inevitabilmente all'interno della Repubblica di Venezia, che poneva rigidi limiti su questioni come la morale comune e l'ordine pubblico dei suoi cittadini.

    Il Carnevale antico

    Il primo documento ufficiale che dichiara il Carnevale di Venezia una festa pubblica è un editto del 1296, quando il Senato della Repubblica dichiarò festivo il giorno precedente la Quaresima.

    In quest’epoca, e per molti secoli che si succedettero, il Carnevale durava sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, anche se i festeggiamenti talvolta venivano fatti cominciare già i primi giorni di ottobre.

    Le maschere ed i costumi

    La venditrice di essenze, Pietro Longhi, ca 1756, Ca' Rezzonico (con raffigurazione di una moretta e due baute) La Larva, maschera del costume BautaIndossando maschere e costumi era possibile celare totalmente la propria identità e si annullava in questo modo ogni forma di appartenenza personale a classi sociali, sesso, religione. Ognuno poteva stabilire atteggiamenti e comportamenti in base ai nuovi costumi ed alle mutate sembianze. Per questo motivo, il saluto che risuonava di continuo nell’atto di incrociare un nuovo "personaggio" era semplicemente Buongiorno signora maschera.

    La partecipazione gioiosa e in incognito a questo rito di travestimento collettivo era, ed è tuttora, l’essenza stessa del Carnevale. Un periodo spensierato di liberazione dalle proprie abitudini quotidiane e da tutti i pregiudizi e maldicenze, anche nei propri confronti. Si faceva tutti parte di un grande palcoscenico mascherato, in cui attori e spettatori si fondevano in un unico ed immenso corteo di figure e colori.
    Con l’usanza sempre più diffusa dei travestimenti per il Carnevale, a Venezia nacque dal nulla e si sviluppò gradualmente un vero e proprio commercio di maschere e costumi. A partire dal 1271, vi sono notizie di produzione di maschere, scuole e tecniche per la loro realizzazione.

    Cominciarono ad essere prodotti gli strumenti per la lavorazione specifica dei materiali quali argilla, cartapesta, gesso e garza. Dopo la fase di fabbricazione dei modelli, si terminava l’opera colorandola e arricchendola di particolari come disegni, ricami, perline, piumaggi e quant’altro. I cosiddetti mascareri, che divennero veri e propri artigiani realizzando maschere di fogge e fatture sempre più ricche e sofisticate, vennero riconosciuti ufficialmente come mestiere con uno statuto del 10 aprile 1436, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia.

    Uno dei travestimenti più comuni nel Carnevale antico, soprattutto a partire dal XVIII secolo, rimasto in voga ed indossato anche nel Carnevale moderno, è sicuramente la Bauta (da pronunciarsi con l'accento sulla u). Questa figura, prettamente veneziana ed indossata sia dagli uomini che dalle donne, è costituita da una particolare maschera bianca denominata larva sotto ad un tricorno nero e completata da un avvolgente mantello scuro chiamato tabarro. La bauta era utilizzata diffusamente durante il periodo del Carnevale, ma anche a teatro, in altre feste, negli incontri galanti ed ogni qualvolta si desiderasse la libertà di corteggiare od essere corteggiati, garantendosi reciprocamente il totale anonimato. A questo scopo la particolare forma della maschera sul volto assicurava la possibilità di bere e mangiare senza doverla togliere.

    Un altro costume tipico di quei tempi era la Gnaga, semplice travestimento da donna per gli uomini, facile da realizzare e d’uso piuttosto comune. Era costituito da indumenti femminili di uso comune e da una maschera con le sembianze da gatta, accompagnati da una cesta al braccio che solitamente conteneva un gattino. Il personaggio si atteggiava da donnina popolana, emettendo suoni striduli e miagolii beffardi. Interpretava talvolta le vesti di balia, accompagnata da altri uomini a loro volta vestiti da bambini.
    Molte donne invece, indossavano un travestimento chiamato Moretta, costituito da una piccola maschera di velluto scuro, indossata con un delicato cappellino e con degli indumenti e delle velature raffinate. La Moretta era un travestimento muto, poiché la maschera doveva reggersi sul volto tenendo in bocca un bottone interno (e per questo motivo chiamata anche servetta muta).

    Le feste

    Dettaglio de Il rinoceronte, Pietro Longhi, 1751, Ca' RezzonicoDurante il Carnevale le attività e gli affari dei veneziani passavano in secondo piano, ed essi concedevano molto del loro tempo a festeggiamenti, burle, divertimenti e spettacoli che venivano allestiti in tutta la città, soprattutto in Piazza San Marco, lungo la Riva degli Schiavoni e in tutti i maggiori campi di Venezia.

    Vi erano attrazioni di ogni genere: giocolieri, acrobati, musicisti, danzatori, spettacoli con animali e varie altre esibizioni, che intrattenevano un variopinto pubblico di ogni età e classe sociale, con i costumi più fantasiosi e disparati. I venditori ambulanti vendevano ogni genere di mercanzia, dalla frutta di stagione ai ricchi tessuti, dalle spezie ai cibi provenienti da paesi lontani, specialmente dall’oriente, con il quale Venezia aveva già intessuto stretti e preziosi legami commerciali sin dai tempi del famoso viaggio di Marco Polo lungo la via della seta.

    Oltre alle grandi manifestazioni nei luoghi aperti, si diffusero ben presto piccole rappresentazioni e spettacoli di ogni genere (anche molto trasgressivi) presso le case private, nei teatri e nei caffè della città. Nelle dimore dei sontuosi palazzi veneziani si iniziarono ad ospitare grandiose e lunghissime feste con sfarzosi balli in maschera.

    È comunque nel XVIII secolo che il Carnevale di Venezia raggiunge il suo massimo splendore e riconoscimento internazionale, diventando celeberrimo e prestigioso in tutta l’Europa del tempo, costituendo un’attrazione turistica ed una mèta ambita da migliaia di visitatori festanti.

    Sono di quest’epoca le famigerate avventure che videro protagonista, a Venezia, uno dei più celebri personaggi del tempo: Giacomo Casanova. Scrittore veneziano molto prolifico, fu tuttavia maggiormente conosciuto come uno dei massimi esponenti dell’aspetto libertino della Venezia di quel tempo. Citato ancora oggi per la sua nomea di seduttore, creò il suo personaggio quasi mitico grazie alle partecipazioni a feste tra le più lussuriose, agli episodi amorosi più piccanti e alle incredibili traversie alle quali andò incontro nella sua vita sregolata, che portarono avventure, scandalo e vivacità ovunque si recasse.

    La Festa delle Marie

    Questa antichissima festa veneziana, la cui origine è controversa e della quale si hanno notizie solo a partire dal 1039, venne introdotta presumibilmente intorno all’anno 943 e continuata poi all’interno del periodo carnevalesco, quando esso venne istituito.

    Nel giorno della purificazione di Maria, il 2 febbraio, a Venezia era usanza celebrare il giorno della benedizione delle spose, durante il quale venivano benedetti collettivamente, presso la Basilica di San Pietro di Castello, i matrimoni di dodici fanciulle, scelte tra le più povere e belle della città.
    Per contribuire alla costituzione della dote di queste spose, le famiglie patrizie di Venezia erano coinvolte con delle donazioni ed era consuetudine del Doge concedere in prestito alle fanciulle gli splendidi gioielli e gli ori provenienti dal tesoro della città. A seguito del sontuoso matrimonio svolto alla presenza del Doge e della nobiltà veneziana, le spose venivano accompagnate in corteo verso Piazza San Marco. Giunte presso il Palazzo Ducale, le fanciulle ricevevano gli omaggi dal Doge che le invitava con onore ad un ricco ricevimento a palazzo. Successivamente il corteo si imbarcava sul Bucintoro che, scortato da piccole e numerose imbarcazioni di concittadini festanti, percorreva il Canal Grande verso Rialto, raggiungendo in seguito la Chiesa di Santa Maria Formosa, dove si svolgevano altre solenni celebrazioni.

    Pare che nel 943, al tempo del dogado di Pietro III Candiano, durante le celebrazioni del matrimonio e tra lo stupore generale, irruppero in chiesa dei pirati istriani che rapirono le spose con tutti i gioielli della dote, custoditi da ciascuna di loro in graziose cassette decorate, chiamate arcelle. Dopo l’iniziale incredulità e la confusione generata dal brutale episodio, dei veneziani valorosi si posero all’inseguimento dei pirati, salpando delle imbarcazioni ed organizzando una spedizione, con alla testa il Doge stesso. Riuscirono a raggiungere i pirati presso Caorle, dove li attaccarono ed uccisero tutti, liberando le dodici fanciulle e i loro preziosi ori. Il Doge, affinché non vi fosse per nessuno la possibilità di commemorare questi spregevoli individui, dispose che i cadaveri non ricevessero sepoltura e che fossero tutti gettati in mare. Stabilì inoltre che il luogo dove era avvenuto questo cruento episodio si chiamasse Porto delle Donzelle, nome che a tutt’oggi permane.

    In onore di questa vittoria sui pirati si decise quindi di istituire la Festa delle Marie, da tenersi annualmente per celebrare l’evento. Iniziava con la selezione di dodici tra le più belle ragazze di Venezia, scelte in numero di due per ogni sestiere e ribattezzate per l’occasione Marie (forse perché il maggior numero delle ragazze rapite aveva questo nome, oppure dal nome della festa della purificazione di Maria). Venivano poi invitate le famiglie patrizie ad impegnarsi nel fornire alle fanciulle le vesti, gli addobbi e i gioielli per renderle ancor più principesche.

    Il corteo delle Marie, sfilando in una processione di barche che attraversava i rii della città, assistevano a funzioni religiose nelle principali chiese di Venezia, partecipando a balli, musiche e rinfreschi organizzati dai cittadini. La possibilità di avvicinarsi alle Marie era considerata di buon auspicio, oltre che un’occasione per veneziani e stranieri di vedere da vicino delle donne meravigliose, con indosso addobbi rari e pregiatissimi.
    La ricorrenza arrivò a durare fino a nove giorni e, nel 1272, il numero delle Marie venne ridotto prima a quattro e poi a tre, soprattutto per moderare gli enormi costi a carico dello Stato e delle famiglie patrizie. Subì nel tempo altri cambiamenti ed evoluzioni, finché una modifica inattesa giunse a comprometterne lo spirito e l’essenza principale: per evitare che la festa fosse troppo caratterizzata dal desiderio di vedere le bellezze femminili (piuttosto che di seguire la tradizione religiosa), le autorità decisero di sostituire le Marie con delle loro sagome in legno. Questa variazione portò inevitabilmente alle proteste dei cittadini, che iniziarono ben presto a bersagliare le figure con sassi ed ortaggi, tanto che nel 1349 venne varata una legge che vietava il lancio di oggetti verso di esse. L’espressione di Maria de tola (Maria di tavola), coniata per l’occasione, è utilizzata ancora oggi a Venezia per indicare con irrisione il tipo di donna fredda e senza seno.

    Negli anni a seguire la Festa delle Marie cadde lentamente in disuso e venne soppressa nel 1379, epoca in cui Venezia era coinvolta nella guerra di Chioggia. Come cerimonia ufficiale, rimase solo l'annuale visita del Doge alla chiesa di Santa Maria Formosa.

    Venne ripresa ufficialmente circa seicento anni dopo, nel 1999, anche se realizzata in forma ridotta ed apportando alcune varianti.

    Il Volo dell'Angelo

    Il Campanile di San Marco visto dalla Piazzetta La Piazzetta vista dal CampanileIn un’edizione del Carnevale verso la metà del 1500, tra le varie manifestazioni e spettacoli organizzati in città, fu realizzato un evento straordinario che fece molto scalpore: un giovane acrobata turco riuscì, con il solo ausilio di un bilanciere, ad arrivare alla cella campanaria del campanile di San Marco camminando, nel frastuono della folla sottostante in delirio, sopra una lunghissima corda che partiva da una barca ancorata sul molo della Piazzetta. Nella discesa, invece, raggiunse la balconata del Palazzo Ducale, porgendo gli omaggi al Doge.

    Dopo il successo di questa spettacolare impresa, subito denominata Svolo del turco, l’evento, che solitamente si svolgeva il Giovedì Grasso, fu richiesto e programmato come cerimonia ufficiale anche per le successive edizioni, con tecniche simili e con forme che con gli anni subirono numerose varianti.
    Per molti anni lo spettacolo, mantenendo lo stesso nome, vide esibirsi solo funamboli di professione, finché non si cimentarono nell’impresa anche giovani veneziani, dando prova di abilità e coraggio con varie spericolatezze e variazioni sul tema.

    Quando queste variazioni portarono a prevedere, per lunghi anni di seguito, un uomo dotato di ali ed appeso con degli anelli alla corda, issato e fatto scendere a gran velocità lungo la fune, si coniò il nuovo termine di Volo dell’Angelo. Il prescelto, al termine della discesa nel loggione di Palazzo Ducale, riceveva sempre dalle mani del Doge dei doni o delle somme in denaro. Vi furono alcune edizioni che videro gli acrobati utilizzare per i loro spettacoli degli animali, barche e varie altre figure, oltre a rendere l’impresa sempre più difficile con ardite evoluzioni e anche svoli collettivi.

    Nel 1759, l’esibizione finì in tragedia: ad un certo punto, l’acrobata si schiantò al suolo tra la folla inorridita. Probabilmente a causa di questo grave incidente, l’evento, svolto con queste modalità, fu vietato. Da questo momento il programma si svolse sostituendo l’acrobata con una grande colomba di legno che nel suo tragitto, partendo sempre dal campanile, liberava sulla folla fiori e coriandoli. Dalla prima di queste edizioni, il nome di Volo dell’Angelo divenne quindi Volo della Colombina.

    Tale evento, come la maggior parte delle altre ricorrenze e spettacoli, con la fine della storia millenaria della Serenissima si interruppe per un lungo periodo.

    Gli eccessi e le limitazioni

    Il Carnevale diede la possibilità, a tutti, di celare completamente la propria identità sotto un costume e ciò portò inevitabilmente a qualche eccesso. Sfruttando i travestimenti, qualche malintenzionato ne approfittò per escogitare e compiere una serie di malefatte, più o meno gravi.
    Per questo motivo le autorità dovettero introdurre a più riprese e per decreto delle limitazioni, dei divieti e delle pesantissime sanzioni contro l’abuso e l’utilizzo fraudolento o non ortodosso dei travestimenti.

    In effetti, soprattutto durante le ore notturne, indossando un travestimento e con la complicità del buio, era più facile commettere reati di varia natura, come scippi, ruberie e molestie, senza la minima possibilità di essere riconosciuti. Già a partire dal 22 febbraio 1339 si decreta quindi il divieto notturno di circolare in maschera per la città.

    Un altro abuso che si rese piuttosto comune riguardava la possibilità degli uomini, travestiti da donne o con indosso abiti religiosi, di approfittare delle loro mentite spoglie per entrare nei luoghi sacri, nelle chiese e nei monasteri, per compiere atti indecenti e libertini anche con le religiose. Con un apposito decreto del 24 gennaio 1458 si proibisce perciò l’ingresso in maschera nei luoghi sacri, al fine di evitare che fossero compiute multas inhonestates.

    Un pericolo per la pubblica sicurezza poteva derivare dalla possibilità degli ampi mantelli come i tabarri, molto diffusi ed utilizzati in abbinamento a varie maschere, di poter nascondere facilmente armi e oggetti pericolosi, con l’intento di offendere. Vi furono pertanto numerosi atti ufficiali che stabilirono e ribadirono di continuo il divieto assoluto di portare con sé qualunque oggetto di natura pericolosa per l’incolumità altrui. Le pene per questi reati erano molto pesanti, sia pecuniarie, con sanzioni salate, che di reclusione, con la comminazione di diversi anni di galera.

    La professione di prostituta fu da sempre contrastata e allo stesso tempo tollerata all’interno della Repubblica, talvolta addirittura incentivata e richiesta da molti veneziani e stranieri, ma considerata sempre fonte di perdizione e malcostume, nonché origine di pericolose malattie come la sifilide. Per questi motivi le meretrici dovevano sottostare a numerose limitazioni, rigidamente imposte. Anche le prostitute, però, potevano facilmente confondersi con le maschere ed esercitare la loro professione aggirando i limiti stabiliti. Si arrivò quindi a regolamentare ulteriormente la materia e a stabilire il divieto della prostituzione in maschera, con pene piuttosto severe: oltre ad una multa salata, erano bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica, dopo essere state sottoposte, lungo il tragitto da Piazza San Marco a Rialto, al supplizio delle frustate e messe alla berlina tra le due colonne della Piazzetta.
    Con la diffusione delle case da gioco si registrarono episodi in cui alcuni giocatori d’azzardo, in maschera, sfruttavano l’anonimato per sfuggire ai creditori. Nel 1703 fu quindi totalmente proibito di recarsi in maschera presso questi luoghi.

    Più tardi, nel 1776, venne invece proibito alle donne sposate di recarsi a teatro senza maschera, al fine di proteggerne l’onorabilità.

    Dopo la caduta della Serenissima, avvenuta nel 1797, si arrivò infine alla proibizione definitiva dei mascheramenti, ad eccezione di quelli durante le feste private nei palazzi e del Ballo della Cavalchina al Teatro la Fenice. Come conseguenza, iniziò velocemente una fase di declino dello spirito che aveva animato per secoli questo storico Carnevale e le manifestazioni e feste si spensero gradualmente.

    Il Carnevale moderno

    Nel 1797, con l’occupazione francese di Napoleone e con quella successiva austriaca, nel centro storico la lunghissima tradizione fu interrotta per timore di ribellioni e disordini da parte della popolazione. Solamente nelle isole maggiori della Laguna di Venezia, come Burano e Murano, i festeggiamenti di Carnevale proseguirono il loro corso, anche se in tono minore, conservando un certo vigore ed allegria.
    Solo nel 1979, quasi due secoli dopo, la secolare tradizione del Carnevale di Venezia risorse ufficialmente dalle sue ceneri, grazie all’iniziativa e all’impegno di alcune associazioni di cittadini e al contributo logistico ed economico del Comune di Venezia, del Teatro la Fenice, della Biennale di Venezia e degli enti turistici.
    Nel giro di poche edizioni, grazie anche alla visibilità mediatica riservata all’evento e alla città, il Carnevale di Venezia è tornato a ricalcare con grande successo le orme dell’antica manifestazione, anche se con modalità ed atmosfere differenti.

    Le singole edizioni annuali di questo nuovo Carnevale sono state spesso contraddistinte e dedicate ad un tema di fondo, al quale ispirarsi per le feste e gli eventi culturali di contorno. Alcune edizioni sono state anche caratterizzate da abbinamenti e gemellaggi con altre città italiane ed europee, fornendo in questo modo un ulteriore coinvolgimento dell’evento a livello internazionale.

    L’attuale Carnevale di Venezia è diventato un grande e spettacolare evento turistico, che richiama migliaia di visitatori da tutto il mondo che si riversano in città per partecipare a questa festa considerata unica per storia, atmosfere e maschere.

    I giorni tradizionalmente più importanti del Carnevale veneziano sono il Giovedì grasso e il Martedì grasso, anche se le maggiori affluenze si registrano sicuramente durante i due fine settimana dell’evento.

    Le feste

    Con la prima edizione del Carnevale recente si istituisce contemporaneamente un programma di eventi ed un calendario dettagliato per la nuova grande manifestazione. Si stabilisce la data dell’inizio dei festeggiamenti ufficiali in coincidenza con il sabato precedente al Giovedi Grasso ed il termine con il Martedi Grasso, per una durata complessiva di soli undici giorni. A differenza del Carnevale di un tempo, che a lungo ebbe una durata ufficiale di ben sei settimane, quello moderno si svolge con un programma concentrato ma ricco di singoli appuntamenti.

    Come in passato, ancora oggi il Carnevale di Venezia rappresenta una grandiosa festa popolare per un vasto pubblico di tutte le età. Feste di piazza ed eventi di ogni tipo animano le giornate delle comitive di maschere e di turisti, che allegramente si disseminano per la città.
    Oltre alle feste ufficiali di piazza tra campi e campielli, ancora oggi come in passato si organizzano svariate feste private e balli in maschera presso i grandi palazzi veneziani. In questi luoghi, ricchi di arredi ed atmosfere quasi immutate nel tempo, è possibile rivivere gli antichi splendori e la tradizione del Carnevale di un tempo

    La Festa delle Marie

    Solo nel 1999 l’antichissima Festa delle Marie è stata finalmente ripristinata, con un'atmosfera che unisce la rievocazione storica dell’antico corteo con le fanciulle, ad un più moderno concorso di bellezza in costume.
    Nelle settimane che precedono il Carnevale di Venezia, si tiene una sorta di concorso tra le giovani bellezze locali per scegliere le dodici Marie che sfileranno come protagoniste del corteo, durante la celebrazione.

    La festa si svolge il pomeriggio della prima domenica del Carnevale, quando le dodici Marie, accompagnate da un corteo formato da una processione di damigelle d’onore, sbandieratori, musicisti e centinaia di altri figuranti in costume d’epoca, inizia il suo lento cammino partendo dalla chiesa di San Pietro di Castello dirigendosi verso Piazza San Marco, tra le ali di una folla di turisti e di maschere.

    In Piazza San Marco, infine, le damigelle sfilano per l'elezione della più bella tra le dodici, in attesa della proclamazione ufficiale della vincitrice dell’edizione, alla quale viene inoltre assegnato un consistente premio.

    Il Volo dell'Angelo

    Nel Carnevale moderno si è deciso di ripresentare al pubblico, in una veste simile a quella originale dell’antico Carnevale, la ricorrenza del Volo dell’Angelo, nella sua variante di Volo della Colombina. Mentre in passato questo spettacolo veniva celebrato il Giovedì Grasso, nelle edizioni moderne esso viene svolto generalmente a mezzogiorno della prima domenica di festa, come uno degli eventi di apertura che decretano ufficialmente l’inizio del Carnevale stesso. Sopra una folla festante, con lo sguardo rivolto al Campanile di San Marco, un uccello meccanico dalle sembianze di una colomba effettua come un tempo la sua discesa sulla corda verso il Palazzo Ducale. Arrivato circa a metà percorso, viene aperta una botola nella sua parte inferiore, che libera sulla Piazzetta gremita innumerevoli coriandoli e confetti od altri piccoli doni.

    Dall’edizione del 2001, la prima del millennio, si è passati nuovamente alla vecchia formula del Volo dell’Angelo, sostituendo la Colombina con un artista in carne ed ossa. L'artista, assicurato ad un cavo metallico, effettua la sua discesa dalla cella campanaria del campanile scorrendo lentamente verso terra, sospeso nel vuoto, sopra la moltitudine che riempie lo spazio sottostante.

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