I Rotoli del Mar Morto

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    Questo lho letto, ma anche qui ci sono molte opinioni discordanti.

    Qui sotto c'è un articolo, per me, intetressante, con i pro e contro

    Gli esseni e i cristiani: introduzione alla problematica

    La tesi secondo cui il cristianesimo non è nient'altro che un essenismo vincente, fu formulata per la prima volta già nel XIX secolo, molti decenni prima dunque della scoperta dei Rotoli del Mar Morto. Questa teoria ha avuto nuovi ulteriori e importanti sviluppi grazie a moltissima letteratura sensazionalistica pubblicata negli ultimi due decenni, che dipinge il faticosissimo lavoro del gruppo di studiosi che ha lavorato per cinquant'anni attorno alla pubblicazione di tutte le migliaia di frammenti dei Rotoli come un tentativo di occultare l'innegabile collegamento che esisterebbe tra Gesù, i primi cristiani e gli esseni di Qumran. Sarebbe inutile aggiungere che questo tentativo pretende di fondare la propria scentificità sui punti di contatto del pensiero cristiano ed esseno (ma basterebbe aggiungere che entrambi i movimenti vivevano in Palestina, erano permeati di cultura ebraica ed erano all'incirca contemporanei per rovinare la festa), spesso tacendo innegabili e fondamentali punti di forte contrasto tra il pensiero di Gesù e quello esseno (contrasti che per altro si contano a decine).
    Sono innegabili gli influssi dell'essenismo sui primi cristiani, così come è innegabile che avere alcune concezioni di pensiero in comune non vuol dire certo identità generale di vedute né tantomeno che l'uno derivi o discenda dall'altro! È dunque più che mai valido ancora oggi il principio metodologico espresso da M. Simon una trentina di anni fa: «non si potrà individuare una diretta influenza dell'essenismo sul cristianesimo nascente se essa non riguarderà elementi originali e specifici, caratteristici unicamente dei due gruppi» (da Giudaismo e cristianesimo, Laterza 1978, p. 228).

    Ad esempio Gesù e il «Maestro di Giustizia» [1] hanno sì alcune convinzioni in comune, ma la loro visione della "giustizia di Dio" è totalmente contrastante. Il «Maestro di Giustizia» annuncia questa giustizia nel pesher di Abacuc come un tribunale penale (1QpHab 2,6ss; 7,1-8), Gesù al contrario come avvento del Regno di Dio e rivelazione della salvezza per tutti coloro che sentono il bisogno di Dio e fanno penitenza (Mc 1,14ss): il Regno di Dio per altro è oramai arrivato (Mt 4,23-25), quindi non bisogna attenderlo oltre. Ma ad un annuncio radicalmente differente, corrisponde un predicazione dell'attesa sostanzialmente simile: entrambi predicavano la penitenza e promuovevano una nuova auto-consapevolezza in vista della venuta di Dio, tramite la quale l'uomo si mettesse alla prova alla luce del volere assoluto di Dio.
    Diversa interpretazione, simile predicazione, diversa attuazione: molto probabilmente risale allo stesso «Maestro di Giustizia» la vita monastica della comunità di Qumran: un modo di vivere che ha la sua fondazione nella tradizione sinaitica (dopo l'esodo dall'Egitto, gli Israeliti giunsero nel deserto del Sinai e piantarono le loro tende ai piedi del monte, aspettando così l'apparizione di Dio), con il quale la nuova setta si ritirava nel deserto abbandonando il mondo civile assimilato all'impuro Egitto. Gesù ribalta completamente questo concetto: egli va in mezzo al mondo contaminato rivolgendogli la sua predicazione di penitenza come invito al regno di Dio; viene definito un «mangione e ubriacone» che vive in mezzo a pubblicani e peccatori (un'attenzione peraltro alla quale si opponeva anche il fanatismo della quarta filosofia citata da Giuseppe Flavio e che per comodità chiameremo zelota).

    Un punto di contatto può essere trovato tra Qumran e il modo di vivere nella cerchia di discepoli di Gesù. Questo può essere definito affine per certi aspetti alla vita communis degli esseni: la comunità di Gesù, composta dai suoi apostoli, da discepoli e da alcune donne sposate che si occupavano delle "faccende domestiche" (Lc 8,1-3), si era distaccata dal normale modo di vivere dei giudei, pur rimanendo nel loro contesto culturale. C'era stata la rinuncia a un legame con la propria professione, con la propria famiglia e con il proprio villaggio, anche se forse è precipitoso il collegamento con la famiglia "spirituale" degli Inni di Qumran (1QH 7,20-22; 9,33ss).
    Come gli esseni di Qumran, Gesù era celibe, caratteristica questa che condivideva con Giovanni il Battista (e più tardi con Paolo) e con pochi altri rabbini nella storia giudaica: ma presso gli esseni il celibato era motivato dall'attesa imminente del Regno di Dio e da norme sacerdotali, Gesù adottò questo comportamento in vista del Regno di Dio già venuto sulla Terra. Chi non è sposato si occupa delle cose del Signore dirà qualche anno più avanti Paolo (1Cor 7,32). Non è escluso che l'espressione di Gesù «eunuchi per il regno dei Cieli» (Mt 19,10-12), oltre che a chiarire quasi certamente la sua scelta di vita, fosse allusiva proprio al comportamento della setta essena, più che da riportare ad un contesto pienamente giudaico nel quale rimane piuttosto oscura.
    Altrettanto valore aveva per la cerchia dei discepoli (soprattutto dei dodici) la comunanza dei beni (At 2,42-47). La cassa era comune (e tenuta da Giuda Iscariota, come ci informa Giovanni in 13,29, sempre attento a queste note "di colore"). Ma a Qumran il banchetto era riservato ai membri di pieno diritto, in quanto completamente puri, nei banchetti presieduti da Gesù come capotavola la partecipazione era invece aperta a tutti i possibili ospiti. La stessa ospitalità che riflettono alcuni personaggi del Nuovo Testamento, come la famiglia di Maria, Marta e Lazzaro (i quali non erano sposati) che secondo il racconto di Luca 10,38-42 accolsero Gesù e i suoi discepoli e li ospitarono. Questa ospitalità era caratteristica degli esseni secondo Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica II,124), elemento che ha fatto ipotizzare l'appartenenza dei tre al «secondo ordine» degli esseni [2].
    Secondo alcuni studiosi, perfino certe espressioni neotestamentarie potrebbero essere parafrasi per indicare il gruppo degli esseni: in particolare coloro che vengono indicati come quelli che «aspettano il regno di Dio» (cfr. Mc 15,43; Lc 2,25; 2,38; 23,51) [3]. È altamente probabile che anche i "sacerdoti convertiti" menzionati in Atti 6,7 e i "Dottori della Legge" facessero parte di qualche gruppo essenico [4]. Dal momento che i testi evangelici vennero redatti in un periodo successivo che va dal 45-50 al 90, bisogna necessariamente ipotizzare contatti proficui tra gli esseni e i primi cristiani.

    Altre caratteristiche comuni vengono a volta richiamate per i riti, in particolar modo battesimo ed eucarestia: ma il battesimo cristiano è conferito una sola volta nella vita, le abluzioni rituali degli esseni si ripetono invece quotidianamente; anche il significato attribuito ai due riti è totalmente diverso: quello cristiano è una "rinascita in Cristo", quello esseno riguarda determinate regole di purità. Tra cena cristiana e pasti rituali degli esseni le affinità sembrano più nette, ma anche in questo caso vi è un contesto culturale di fondo comune, quello giudaico: pane, vino e benedizione domestica fanno parte del rito pasquale ampiamente attestato già nell'Antico Testamento. Per altro, «nel Giudaismo in particolare, condividere la stessa mensa significa amicizia al cospetto di Dio, perché il fatto che tutti quelli che sono a mensa mangino un pezzo di pane spezzato rivela che loro tutti partecipano della benedizione che il padrone di casa ha pronunciato sul pane spezzato» [13] (cfr. 2Re 25,27-30). Quindi non si dovranno cercare punti di contatto nel rito, ma semmai nel significato particolare che esso assume nell'una o nell'altra parte: sotto questo aspetto, il rito cristiano nella sua essenza e nel suo molteplice significato appare originario del Cristianesimo stesso.
    Che il rito del pasto comune fosse particolarmente importante in entrambe le comunità è fuori discussione. Per gli esseni, le descrizioni forniteci da Filone e Giuseppe Flavio sono state ampiamente confermate dai rotoli del Mar Morto, in particolare dalla Regola della Comunità 1QS 6,2.4-5: «mangeranno in comune... E allorché disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere, il sacerdote stenderà per primo la sua mano per benedire in principio il pane e il vino dolce». Anche presso i farisei troviamo la concezione della purità della mensa come verifica della devozione al patto: ma ancora un volta l'osservanza delle regole di purità che dominava la comunione degli esseni era molto più rigida (1QS 5,10-11) rispetto a quella degli haberim [14]. In ogni caso, elemento che contraddistingue particolarmente il rito cristiano da quello esseno è ancora una volta la sociologia applicato allo stesso: la piena partecipazione al pasto comunitario era riservata ai soli membri a tutti gli effetti presso gli esseni, e l'essere accettati alla mensa costituiva il sigillo all'accettazione presso «i molti»; nel cristianesimo, è evidente il carattere misterico e aperto a tutti del pasto comunitario.
    Torneremo più oltre su alcuni particolari del NT che sembrano rivelare una critica al pasto comunitario di Qumran.

    In tale contesto, una mano non secondaria viene dall'archeologia. È oramai comunemente accettato che in Gerusalemme i cristiani fossero i vicini della "porta accanto" degli esseni (utilizziamo quest'ordine in quanto i cristiani sono cronologiamente posteriori agi esseni): le tradizioni locali che collocano il primo luogo di riunione della prima comunità cristiana nella collina sud-occidentale della città sono considerate molto antiche (fine I sec. d.C.), e ritenute attendibili. Nelle vicinanze dell'abitazione nella quale, secondo i Vangeli, si svolse il Cenacolo, l'archeologo benedettino Bargil Pixner ha scavato una porta di epoca neotestamentaria [5], che gli esperti ritengono essere quella chiamata da Giuseppe Flavio «Porta degli Esseni» (Guerra Giudaica V,145). Fin dall'800 questa porta (allora conosciuta solo dalle fonti) fu messa in relazione con il quartiere essenico di Gerusalemme, risalente con molta probabilità al tempo di Erode il Grande (l'insediamento qumranico venne distrutto da un terremoto nel 31 a.C.), il quale inizialmente si mostrò benevolo verso gli esseni (Antichità giudaiche XV,373-379) [6]. Se poi prendiamo in considerazione alcuni elementi di contatto citati in precedenza (in particolare la comunanza dei beni in At 2,44-45; 4,32-35), ciò diventa più che molto probabile, senza doversi necessariamente spingere a considerare l'edificio del Cenacolo e della Pentecoste come appartenente ad un esseno o lanciarsi in esagerate sovrapposizioni [9].
    Dunque accanto a farisei convertiti (At 15,5), vi dovettero essere anche esseni: ma come sempre avviene, ogni nuovo adepto di una comunità porta all'interno della stessa la sua precedente formazione ideologica. Sicuramente ci furono elementi "pericolosi" per la nascente comunità cristiana: ma un apporto determinante dovette certamente essere la notevole formazione scritturistica. Sappiamo dalla Regola della Comunità (1QS 6,6-8) che presso gli esseni lo studio intensivo della Sacra Scrittura occupava tra loro un posto notevole, ben un terzo della giornata: tale constatazione è ancora più sorprendente se consideriamo che gli esseni vivevano nell'attesa della fine imminente. Eppure la loro produzione fu fin dall'inizio (come confermato da analisi papirologiche e al radiocarbonio) molto elevata: il mito degli studiosi di Nuovo Testamento secondo cui i primi cristiani appartenessero agli strati incolti della popolazione e non avessero alcuna intenzione di scrivere qualcosa su Gesù in virtù della loro ardente attesa della fine dei tempi (secondo alcuni risalente a Gesù stesso che ne profetizzò l'imminenza, interpretazione tuttavia fallace e sbagliata), tesi sostenuta già dai fondatori della formgeschichte R. Bultmann e M. Dibelius e che ha come corollario la formazione tardiva di affermazioni teologiche di una certa profondità, deve quindi essere profondamente rivisto alla luce delle nuove acquisizioni esegetiche e archeologiche.
    Gli esseni erano un gruppo di altissima formazione scritturistica, che senz'altro dovette aiutare i primi cristiani nella trattazione della tradizione [7], molto probabilmente anche nella formazione di alcune convinzioni dottrinarie, essendo gli stessi in grado di studiare a fondo chi sia stato Gesù e in che modo ci abbia portato la salvezza. Oggi, non è più facilmente comprensibile l'idea secondo la quale i primi cristiani abbiano dovuto aspettare non meno di venti anni dopo la Crocifissione e la Risurrezione per scrivere qualcosa su Gesù. Sebbene con altri argomenti, finalmente anche nel mondo accademico questa convinzione comincia ad essere messa in dubbio [8].



    Un particolare gruppo di esseni

    Nei Vangeli di Marco e Matteo troviamo un gruppo particolare di giudei: i cosiddetti «erodiani» (Mc 3,6; 12,13; Mt 22,16. In Mc 8,15 la lezione «lievito di Erode» è attestata da codici dell'impronta del Vaticano e del Sinaitico, ma sembrerebbe trattarsi di una lectio difficilior rispetto a quella del Papiro 45 e di altri manoscritti; dal momento inoltre che «Erode» non ha molto senso, è probabilmente da preferirsi la lezione «erodiani»). Si sono fatte molte ipotesi su chi fossero gli appartenenti a questo gruppo: vicini ai farisei? Vicini ai sadducei? Un gruppo che sosteneva politicamente Erode? E in tal caso quale: il Grande, Agrippa o più genericamente la famiglia? Interessante è tuttavia notare come appaiano in coppia coi farisei, il che potrebbe lasciar intendere loro l'interpretazione autentica della Torah.
    Dopo la pubblicazione del Rotolo del Tempio [10] sembra tuttavia essere stato chiarito il dilemma: gli erodiani non furono altro che un gruppo di esseni nato al tempo di Erode il Grande e così chiamati per la simpatia che questo re nutriva nei loro confronti. Yadin dunque ha confermato l'ipotesi di C. Daniel [11], il quale aveva visto nell'esseno Manaem di Giuseppe Flavio (Ant. Giud.XV,371-379) il capostipite di questo gruppo: questa ipotesi spiegherebbe anche il perché il complesso di Qumran non fu occupato nel periodo che andava dal 31 al 4 a.C. (come invece sotto la dominazione asmonea), e il perché fu soprattutto ora che il quartiere esseno in Gerusalemme potè svilupparsi dopo che il loro centro nel deserto venne distrutto dal terremoto del 31 a.C.
    Nel Rotolo del Tempio, al passo 15,9-14 si trova menzionata la festa di Millû'îm, una dedicazione del Tempio e del sacerdozio celebrata durante i primi sette giorni del mese di Nisan (cfr. Es 29; Ez 43,18-27). In ognuno dei giorni della celebrazione, si doveva offrire un canestro di pani insieme a un ariete in segno di oblazione nel Tempio. Ma ciò che rende particolare questa festa è il fatto che sembra essere stata caratteristica degli esseni, in quanto non è menzionata dall'Antico Testamento. Seconto Yadin tuttavia sarebbe menzionata invece nel Nuovo Testamento, laddove in Mc 8,14-21 Gesù deve avervi fatto riferimento nella conversazione coi propri discepoli: è appena terminato il racconto del miracolo della seconda moltiplicazione dei pani per i quattromila; Gesù ammonisce i suoi discepoli a guardarsi dal lievito dei farisei e degli erodiani, chiedendo loro quante ceste di pane erano state raccolte dopo le due moltiplicazioni e concludendo «Non capite ancora?». Nella prima moltiplicazione erano state raccolte 12 ceste: dodici pani della Presentazione venivano offerti dai farisei (che attribuivano a questo grande importanza) ogni settimana al tempio, dove venivano mangiati dai sacerdoti; nella seconda moltiplicazione erano state raccolte 7 ceste: sette ceste di pani erano da offrirsi da parte degli esseni durante i sette giorni della festa della Dedicazione. Quel «Non capite ancora?» del Maestro era dunque un chiaro riferimento teologico al fatto che il pane dei farisei e degli erodiani era «lievito». cioè pane non adatto a un sacrificio (cfr. 1Cor 5,6-7), mentre la folla era stata sfamata con del pane vero, il «pane della vita» rappresentato da Gesù stesso, il Figlio di Dio (cfr. Gv 6,33-35). Secondo lo studioso, il miracolo avvenne alla festa dell'Investitura, poco prima della Pasqua ebraica (cfr. Gv 6,4: «Or la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina»).
    Come i farisei, anche gli erodiani (alias esseni) erano avversi all'atteggiamento tenuto da Gesù nei confronti del Sabato (dai vangeli emergono invece frequenti "violazioni" della regola da parte dei Nazareno: cfr. soprattutto Mc 3,1-6): secondo i regolamenti sul sabato contenuti nel Documento di Damasco (CD 10-11), la loro interpretazione del comandamento di non lavorare in questo giorno di riposo era estremamente rigida, anche più di quella dei farisei [12].



    Gesù a casa di un esseno?

    Un fatto particolarmente significativo raccontato dai vangeli è il pasto consumato da Gesù in casa di «Simone il lebbroso» a Betania (Mc 14,3-9; Mt 26,14-16; Gv 12,1-18, che però sembra riferirsi ad un episodio diverso), durante il quale giunse una donna e lo unse con un unguento prezioso. Senza entrare nelle questioni teologiche e cristologiche che gli esegeti fanno derivare da questo passo, è interessante tuttavia sottolineare come ancora una volta chi lo bolla come mera invenzioe evangelica, carico com'è di teologia, potrebbe doversi ricredere.
    Gesù non aveva timore d'avere contatto coi lebbrosi che avessero bisogno del suo aiuto (cfr. Mc 1,40-45 e passi paralleli; Lc 17,11-19). Ma è da notare la stranezza del fatto che un lebbroso si trovi a possedere una casa in un villaggio poco fuori da Gerusalemme laddove secondo la Legge i lebbrosi dovevano vivere in una sorta di quarantena presso la porta d'ingresso d'una città (2Re 7,3ss; cfr. anche Nm 5,2-3; Kelim 1,8; m.Baba Qamma 1,14; m.Nidd 7,4; Giuseppe Flavio, Ant. Giud. III,261; Guerra V,227). Senza ricordare tutti i problemi connessi con il concetto di santità di Gerusalemme (cfr. Lv 22,4; Dt 23,10-11; Es 19,1-15), anche questo particolarmente sentito dalla comunità essena (11QTemple 27,4), pare interessante sottolineare il fatto che il luogo di Betania fosse quello indicato dagli esseni come zona dove potessero vivere i lebbrosi (Rotolo del Tempio 46,16-18; 48,14-15). Molto probabilmente dunque Simone era membro della comunità degli esseni che non viveva a Qumran, e che era stato costretto ad abitare ad est di Gerusalemme per via di quella sua infermità che lo rendeva immondo.



    Gesù e la parabola del gran convito


    Nel vangelo di Luca, il passo del capitolo 14,12-21 sembrerebbe in chiaro parallelismo antitetico con 1QSa 2. Questo rapporto venne individuato e brevemente chiarito già subito dopo la pubblicazione del testo [15]. In particolare emergono evidenti due punti significativi: il nesso tra 1QS 6,4-5 e 1QSa 2,17-21 con parallelo nel nesso tra Lc 14,3 e 14,21; la chiara espressione lucana che lascia ben sottinteso che il punto di vista e l'esortazione di Gesù sarebbero stati fonte di stupefazione per l'etichetta contemporanea. Per altro, sembrano espressamente menzionati quelle categorie del popolo (poveri, storpi, zoppi, ciechi) che sono specificatamente escluse dai pasti della comunità e soprattutto dai pasti comuni (cfr. anche Lv 21). In ogni caso, il legame tra zoppi e ciechi è ampiamente attestato anche nell'Antico Testamento (Dt 15,21; Mal 1,8; 2Sam 5,6.8.9; Giobbe 29,15; Is 35,5-6; nella LXX chōlos è sempre traduzione dell'ebraico psh, e similmente tuphlos è sempre la traduzione dell'ebraico 'wr), e anche nel Nuovo Testamento è frequente (Mt 11,5 // Lc 7,22; Mt 15,30-31; 21,14; Gv 5,3). La parola "storpio" deriva dal greco anapeiros (variante di anaperōs), che però è un più generico «invalido» o «gravemente invalido» (dunque più che storpio vale come denotazione di invalidità fisica di tipo non specificato), attestato nella LXX in Tobia 14,2 e 2Mac 8,24; è possibile comunque considerazione questo termine come l'equivalente dell'ebraico hgr presente nei testi del Mar Morto 1QM 7,4; 4QCDb, o anche dell'ebraico mwm (nel senso di «deformità», «tara», «difetto») presente nella LXX in Lv 21,17-18 e nei MMM in 1QSa 2,5; 1QM 7,4: è comunque evidente che gli autori dei testi avevano in mente una menomazione fisica.
    L'attenzione di Gesù per i poveri è piuttosto forte nei testi evangelici, e sembra dunque storicamente fondata; non si trova un parallelo né nel Levitico, né nei manoscritti del Mar Morto, né in Qumran, laddove invece sembra che la setta utilizzasse questo termine come auto-definizione (1QpHab 12,2-10; 1QM 11,9.13; 13,14; 1QH 5,22; 4QpPs 37 ,19; 2,9 e con il solo Documento di Damasco 6,21; 14,14, che usa il termine nel senso più comune). Ma l'antitesi era troppo ghiotta ed è piuttosto evidente: mentre i poveri di Qumran sono poveri "ad arte", che tali erano per adeguarsi alla Legge e che rifiutavano esplicitamente le categorie infime della popolazione, Gesù fa un chiaro riferimenti ai poveri "reali", a coloro che non hanno di che vivere, associandoli in tal modo a quelle categorie espressamente escluse dagli esseni e facendoli oggetto speciale della sua attenzione e della sua predicazione. Questo atteggiamento dovette produrre anche delle dispute con alcuni esponenti dei farisei, dispute le cui tracce si percepiscono ancora chiaramente nelle tradizioni evangeliche.
    «In breve: la comunione di mensa di Gesù dev'essere vista sia come protesta contro uno zelo religioso fondato sul giudizio e sull'esclusivismo, sia come espressione concretamente vissuta dell'apertura che contraddistingue la grazia di Dio» [16].


    Tratto da: http://cristianesimo.altervista.org/qumran/cristiani.htm


     
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13 replies since 15/3/2010, 10:42   576 views
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