Dante Alighieri

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    Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi in mezzo a biasimi e lodi (Buddha)

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    Dante e i Fedeli d’Amore

    di Athos A. Altomonte

    © copyright by Esonet.it


    Molti anni fa, facendo un giro di conferenze sul tema: Ebraismo e Simbologia massonica, un Rabbino mi chiese quando fosse nata la Massoneria.

    Risposi che a mio giudizio, non è possibile sapere con esattezza la nascita dell’Istituzione iniziatica che giace velata nelle rappresentazioni simboliche della Massoneria, ma si può senz’altro sapere quando questa ri-velazione (velata due volte) dei Misteri fosse avvenuta.

    La Massoneria si è liberata ufficialmente nel 1717 dalle influenze del misticismo rosacrociano che le dette il 3°grado che equivale alla Maestranza iniziatica. Il Maestro massone (3° grado azzurro) nella sua rappresentazione cerimoniale è l’allegoria della resurrezione «in terra» dello spirito iniziatico universale chiamato simbolicamente: il Maestro Hiram.

    L’abbandono della via iniziatico-spirituale coincise con l’impegno che il massonismo profuse nelle battaglie per i Diritti umani, liberali e democratici che erano soffocati dagli interessi delle sovranità monarchiche e teocratiche.

    In questi frangenti la Massoneria assunse, sempre più, il volto d’una Istituzione iniziatica exoterica. Un potere associativo politico e morale che difendeva il Bene comune fisico ed esteriore. Cioè, si occupava più del benessere sociale e del suo Diritto, che della sostanza interiore degli uomini. E non vi è spirito critico in quest’affermazione perché, come diceva un saggio: “è difficile pensare a Dio con la pancia completamente vuota”.

    Se questo interesse “profano” fu per un certo verso un bene sociale, come ad esempio quello della rivoluzione francese ed americana, col passare del tempo e delle emergenze, la forte spinta alla “esteriorizzazione” ha provocato nella Massoneria una degenerazione «epicurea», per cui i massoni hanno finito per trasferire sempre più l’attenzione dai Diritti sociali ai “propri interessi”.

    Oggi è auspicabile un’azione di rigenerazione intellettuale e speculativa. Un “buon ritiro” dalle cose mondane, per rammentare di nuovo le vere origini ed i veri moventi dell’Istituzione iniziatica che da Associazione di uomini dovrebbe tornare ad essere una Scuola iniziatica. Ma per questo i massoni dovrebbero riconoscere il loro primo peccato fondamentale. Quello d’essere caduti in una formale vanagloria iniziatica ch’è solo l’ombra dell’antica “Realtà iniziatica” che va sommata alle onde impetuose d’una vana dialettica tanto vana quanto dispersiva.



    Ma a proposito di Dante...

    Dante faceva parte dei “Fedeli d’Amore” ch’erano poeti congiurati (cit. Nardini: Dante ed i Fedeli d’Amore).

    Dante condannò il pontefice della Chiesa di Roma all’inferno: il “pastor senza legge” che compì “la laid’opra” di vendere i Templari per le loro ricchezze al re di Francia Filippo il bello, e schierò nell’immenso anfiteatro celeste la dispersa “Milizia di Cristo”:

    “Qual’è colui che tace e dicer vole,

    Mi trasse Beatrice e disse. Mira

    Quanto è il convento delle bianche stole! ...”

    (Par. x x x 127-129)

    I Fedeli d’Amore celavano in sembianze di donna il principio della propria anima.

    Si diceva di loro: “tutti ghibellini questi poeti d’amore, tutti innamorati di donne che si somigliavano tanto da far pensare a una sola donna e tutte paludate dal medesimo simbolismo.”

    Al tempo di Dante (i Fedeli d’Amore esistono tutt’oggi) partecipavano: Guido Guinizzelli, capo della scuola letteraria e Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Francesco da Barberino e Cecco d’Ascoli (finito al rogo come eretico), Guido Orlandi e Gianni Alfani. Tutti “congiuravano” contro una Chiesa corrotta che chiamavano: la lupa feroce di Roma.

    Essi vivevano per amore della vergine «Sophia», la santa Sapienza, che conduceva l’uomo dalla terra al cielo e dalla morte alla vita.

    Gli inizati avevano identificato nella «rosa» la Sapienza spirituale, ossia la Madre Sophia (filo-sophia, teo-sophia, ecc).

    “Cantare la bellezza della rosa significava per quei poeti esaltare le virtù della segreta saggezza che conduceva a Dio”.

    I Templari furono latori del messaggio: “Roman de la Rosa” a cui si ricollegò la “candida rosa” di Dante che concluse il suo viaggio iniziatico nei tre regni oltre-mortem.

    La donna, per i Fedeli d’Amore era l’equivalente della rosa mistica dei Sufi e simbolo della Dottrina segreta.

    Si chiamasse monna Lisa o monna Teresa od altro, il nome era solo un modo per esaltare i valori della sapienza segreta senza incorrere nelle ire del potere papale: che di saggezza o di percorso interiore proprio non voleva sentir parlare.

    Altrimenti, “se ognuno avesse imparato a parlare da sé con Dio” sarebbe decaduto il concetto d’indispensabilità dei suoi religiosi e sarebbe cessata l’utilità della sua Chiesa, che aveva occupato il posto della Sophia celeste come intermediaria tra l’uomo ed il cielo

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