I DRUIDI

Gli sciamani

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  1. leAlidelDestino
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    I DRUIDI


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    Poco ci resta delle conoscenze dei Druidi, e quel poco è stato offuscato da secoli di mistero e mistificazione. A quest'opera di occultamento hanno senz'altro contribuito storici e commentatori degli ultimi due secoli portati più a descrivere, come la definisce Piggott, la storia come vorremmo che fosse piuttosto che non la storia come è stata.

    Quello che effettivamente conosciamo sui Druidi si ricava dalle fonti dei contemporanei, storici e geografi greci e latini, dalla letteratura irlandese e gallese giunta sino a noi attraverso il filtro e la trascrizione dei monaci tra il IX° e il XIII° secolo della nostra era; dalle tracce scoperte in varie fonti circa l'antica religione celtica, e non ultimo dai reperti archeologici sulla civiltà celtica nel suo insieme.

    Le prove archeologiche provenienti da scavi di oppida, tombe e luoghi di culto, ci parlano di credenze, cerimonie religiose, rituali e raffigurazioni artistiche di Dei, di cui è possibile dedurre delle ricostruzioni, tanto più attendibili quanto più suffragate da un attento esame delle fonti contemporanee prima, e poi dal corpus mitologico leggendario giunto sino a noi attraverso le saghe epiche irlandesi e gallesi.



    Per capire realmente l'unicità del Druidismo bisogna prima comprendere la società celtica, la sua struttura e la sua mitologia.

    I Druidi furono al tempo stesso molto di più e qualcosa di meno dei sacerdoti di una religione "druidica" o "celtica" come alcuni storici moderni li hanno dipinti.

    Officianti, sacrificatori, e aruspici durante le cerimonie sacre, essi furono anche giudici, medici, maghi, poeti, rappresentando la vera memoria storica di un popolo che non utilizzava di fatto la scrittura.

    I Druidi erano un'espressione viva e vitale della società celtica primitiva, legati a filo doppio con quella particolare struttura sociale, e con lo spegnersi degli stati celtici indipendenti furono condannati a scomparire.



    Per meglio capire questo concetto fondamentale bisogna rifarsi alla "ideologia tripartita" degli indoeuropei come sviluppata e mirabilmente analizzata da George Dumézil.

    Tutte le società indoeuropee, all'inizio della loro storia, sono accomunate da una tripartizione della società in tre funzioni. La prima, è la funzione sacrale della sovranità, del sacerdozio e della giustizia. La seconda è la funzione guerriera, propria dei nobili e dei possidenti di terre o di bestiame. Nella terza, la funzione produttiva di beni materiali o spirituali, sono compresi i contadini, gli allevatori, gli artigiani e gli artisti.

    Questo vale per gli Achei e i per Dori della Grecia, come per i Latini che fondarono Roma, per i Germani delle pianure del Nord come per i primi regni dell'Iran. Inoltre questa tripartizione delle tre funzioni principali, dalle società si riflette anche nella mitologia e nelle religioni di tutti i popoli indoeuropei.

    La maggior parte di questi popoli possiede una letteratura mitologica che descrive un pantheon di cinque divinità, suddivise nelle stesse tre divisioni funzionali: Regalità, Guerra, Produzione.

    Nell'India antica dei Veda, Mithra e Varuna incarnano la sovranità nelle sue due manifestazioni di "terribile potere giudicatore" e "paterno potere protettore". Indra rappresenta invece la forza guerriera, mentre due gemelli Ashvin rappresentano la proprietà e la ricchezza.

    Presso gli antichi Latini troviamo la triade Giove, Marte e Quirino rappresentante le stesse tre funzioni.

    In Grecia, Giove Athena e Apollo rivestono lo stesso ruolo e, nei tempi più antichi, si sacrificava tre volte nel nome di Athena: come Sovrana, come Vittoriosa, come Dispensatrice di salute e prosperità, riportando così a cinque il numero delle divinità principali.

    Presso i Celti sotto vari nomi di divinità tribali, si ritrovano le stesse funzioni. Taranis-Omigos-Dagda, simbolo della regalità simbolizzato dalla ruota e dall'arpa. Belenos-Teutates sono due aspetti guerrieri cui si affianca Brigit dai molti aspetti (Morrigan la guerriera, Epona portatrice di fertilità e protettrice degli animali, Brigit-Belisana protettrice di poeti e artisti). E infine Lug-Lev, dio delle arti e dei Mestieri, Signore dei Tuatha De Danann nella mitologia irlandese, diviene sul finire della civiltà celtica, il dio globale: artista medico e guerriero.



    Tale fu dunque anche la struttura iniziale delle società proto celtiche che si amalgamarono con i popoli di cultura megalitica già residenti in Europa ai tempi del loro arrivo.

    Da questa fusione nacque una diversificazione del tutto originale che marcò la differenza dei Celti dagli altri popoli di ceppi indoeuropeo.

    I Druidi rappresentano dunque un caso unico nella storia dei popoli originatisi dal comune ceppo indoeuropeo. Espressione profonda e rappresentativa di uno spirito libero, legato alla natura, nel tempo si dimostrarono ad un tempo il principale e il più profondo legame tra le innumerevoli tribù celtiche, finendo inevitabilmente per scomparire quando questo tessuto sociale venne a mancare: in Europa continentale, con la perdita dell'indipendenza e con la progressiva romanizzazione delle principali nazioni celtiche, in Irlanda, molto più tardi con l'avvento del Cristianesimo.

    Ovviamente, le loro conoscenze non andarono perse in un colpo solo, ma sbiadirono progressivamente. Con la scomparsa del suo ruolo centrale nella società, il potere del Druido si scisse progressivamente nei due aspetti di semplice cantore e poeta, più o meno accettato dal potere cristianizzato, e in quello di mago dei boschi, ultimo custode di reminiscenze del sapere tradizionale, isolato ai confini della società.

    Ai tempi dello splendore della civiltà celtica, invece, ai Druidi corrispondeva una ben precisa connotazione di prestigio religioso e sociale simile a quella di altri popoli di origine indoeuropea. Tali ad esempio sono ancor oggi i Bramini tra gli indù, la cui figura risale ancora alle invasioni ariane dell'India, verso il secondo millennio avanti Cristo.

    Al duplice ruolo sociale e religioso che li accomuna ai Druidi, i Bramini hanno però aggiunto una diversificazione trasformando il loro ruolo in una casta ereditaria chiusa, mentre presso i Celti non esistevano caste, bensì ruoli funzionali, che permettevano pur sempre una certa libertà di mobilità sociale da una funzione all'altra. Questo aspetto era ancora più accentuato presso i Druidi, che pur essendo principalmente gli insegnanti dei figli delle classi nobili, accettavano alle loro scuole itineranti qualsiasi ragazzo realmente dotato che desiderasse istruirsi.


    I Druidi (drunemedon)



    veneravano i boschi , gli alberi come la quercia erano considerati sacri, questa essenza era "la rappresentanza visibile della divinità" e messa sempre al vertice della gerarchia dei vegetali.
    I Druidi, spesso considerati impropriamente solo sacerdoti dei Celti, ma che in realtà erano dei poeti, veggenti, giudici, coppieri, ambasciatori, storiografi, medici ed architetti, ritenevano che niente fosse più sacro della quercia con sopra il vischio.
    La funzione dei Druidi è racchiusa nel termine drunemedon. Questa parola deriva probabilmente dal greco drys (quercia) e dall'indo-europeo wid (sapere). "In realtà dovremmo definire questi sacerdoti" - afferma il noto studioso Gerhard Herm - dei "querciologhi". Essi ritenevano che tutto ciò che nasce sulla quercia fosse inviato direttamente dal cielo, un segno che l'albero era stato scelto dalle divinità stesse. Il vischio sulla quercia (da noi la Farnia , la specie propria delle nostre zone e non il Rovere come spesso si legge nelle traduzioni di Plinio il vecchio ("Naturalis historia XVI,45") era anche allora molto raro e quando veniva scoperto lo si doveva raccogliere con grande devozione.
    Al sesto giorno della luna, che segnava per loro l'inizio del mese, dell'anno e del secolo, perchè in tale giorno la luna aveva abbastanza forza, si apprestava il sacrificio e il banchetto ai piedi dell'albero cui si facevano avvicinare due tori con le corna legate. Il grande sacerdote dei Druidi, vestito di bianco, saliva sull'albero, tagliava il vischio con un falcetto d'oro e lo raccoglieva con un panno bianco. Si immolavano poi le vittime pregando la divinità perchè rendesse il dono propizio. Si credeva infatti che il vischio, preso in pozione, desse la capacità di riprodursi a qualsiasi animale sterile e che fosse un rimedio contro tutti i veleni.
    Le bacche erano il segno di raccolti abbondanti, di ricche cacciagioni e soprattutto di nascite numerose. La tradizione del vischio come panacea universale e portafortuna è rimasta; anche dalle nostre parti sotto il ramoscello di vischio appeso all'architrave della porta di casa, lo scambio di un bacio tra gli innamorati a Capodanno è benaugurale.

    DRUIDI, REINCARNAZIONE E TEOSOFIA
    di Antonio Bruno
    per Edicolaweb



    Un collegamento molto interessante si può fare parlando di reincarnazione, Druidi ed antichità.

    Ancora una volta, ci troviamo di fronte alla constatazione che non c'è stato che un unico sapere, un'unica Verità che lo spirito umano ha conquistato. Con la sola distinzione che, di civiltà in civiltà, di epoca in epoca, tale sapere assumeva connotazioni esteriori diverse e specifiche del popolo che l'aveva coltivato; nascevano così termini, deità e principi all'apparenza differenti ma sostanzialmente derivanti da un'unica matrice.
    Rifacendoci alla reincarnazione, dunque, ed affacciandosi per un attimo sul magico ed affascinante mondo celtico, vediamo che gli antichi Druidi conoscevano benissimo tale dottrina.
    A torto consideriamo il popolo celtico come "barbaro" perché, come ci ricorda il Teosofo William Atkinson nel libro " La Reicarnazione", esso aveva in realtà una filosofia estremamente elevata che si univa ad una religiosità di carattere mistico.
    Vediamo, allora, che si possono rilevare numerose somiglianze ed accostamenti fra la filosofia dei Druidi e l'esoterismo egiziano o quello dei mistici greci.
    Atkinson ci ricorda che è possibile riscontrare tracce di ermetismo e di pitagorismo nelle teorie druidiche. Pare che soprattutto in Gallia si siano coltivate certe conoscenze e che in quella terra sia stato maggiormente possibile conservarne il ricordo.
    A proposito di reincarnazione, i Druidi insegnavano che la parte spirituale dell'uomo, che essi chiamavano "Awen", discende da un principio spirituale più immanente, un principio universale. Awen discende nei piani inferiori di vita ed anima le forme minerali, vegetali ed animali; alla fine giunge ad incarnarsi sotto forma umana.
    I Druidi parlavano anche di una sorta di stato abissale di rotazione, chiamato "Anufu", da cui Awen si libera per inserirsi nel ciclo della liberazione, ovvero i cicli di rinascita definiti con il termine di "Abred".
    Ma gli antichi Druidi spingevano oltre i loro postulati ed affermavano che lo stato di Abred include numerose esistenze, nel nostro ed in altri pianeti e che, alla fine, Awen giunge ad una liberazione finale trasferendosi nel cerchio della beatitudine, "Gwynfid", in cui trascorrerà un tempo indefinibile di estasi esistenziale.
    Ma la trascendenza druidica non si ferma qui: sopra questo stato di beatitudine, meta dello spirito, ovvero di Awen alla fine dei cicli incarnativi, ve n'è un altro, che potremmo definire con Atkinson "Cerchio dell'Infinito", o "Caugant", che è sostanzialmente e specificamente identico al Nirvana degli Indiani o allo stato di Unione ciìon Dio di cui parlano i mistici greco-cristiani.
    Lo stesso Atkinson segnala un esempio molto significativo dell'avanzato stato di conoscenza iniziatica dei Druidi. Egli ci ricorda che ogni condannato a morte poteva fruire per diritto di cinque anni prima dell'esecuzione della sentenza, onde poter prendere coscienza del futuro stato in cui si troverà esercitando la meditazione ed altre pratiche di autocoscienza; insomma, una vera e propria preparazione dell'anima per l'aldilà.
    È importante, ancora una volta, sottolineare la continuità attraverso tempo e razze del sapere iniziatico.
    Con riferimento ai Druidi, allora, consideriamo che la tradizione ci dice che essi, sacerdoti-maghi, giunsero in Gallia da terre lontane, molto lontane, con ogni probabilità dalla Grecia e dall'Egitto.
    Riporto, a questo proposito, un passaggio di William Atkinson, il quale dice:
    "Del rapporto fra Pitagorici e Druidi e delle somiglianze delle due dottrine, abbiamo già parlato; c'è da sottolineare che i Druidi erano estremamente propensi ad accurate analisi astronomiche ed astrologiche, e che queste dottrine avevano una parte importante nei loro insegnamenti. Senz'altro una parte dei loro riti aveva corrispondenze con quelli dei primi Israeliti. La rinascita era indicata dal simbolo del vischio, che simboleggiava la nuova vita scaturita dall'antica, rappresentata dalla quercia, su cui si avvince e si sviluppa. I Druidi si recarono successivamente in Bretagna ed in Irlanda, dove ancora oggi è possibile rintracciare numerose testimonianze dei loro culti, non solo nei luoghi sacri, di cui restano frammenti, ma anche in molti costumi e tradizioni dei contadini di quelle regioni. Numerosi aspetti del folklore inglese e irlandese ricco per l'appunto di fate, simboli di buona sorte, gnomi, risalgono senza dubbio ai tempi dei Druidi. Le stesse origini hanno le fiabe sulla nascita dei bambini, i quali hanno ricordi sulla vita precedente che si estinguono a poco a poco con l'avanzare degli anni. Tra quelle popolazioni c'è ancora oggi una corrente sotterranea di idee mistiche su anime che ritornano misteriosamente. Questa è senz'altro un'eredità lasciata dai Druidi."
    Abbiamo dunque visto come sia perlomeno interessante considerare i Druidi come custodi di un sapere globalmente diffuso che, millenni dopo, la Teosofia ha cercato di recuperare e, parzialmente, di diffondere.
    Il tema della reincarnazione, perciò, trova negli insegnamenti teosofici alcune intriganti spiegazioni.
    Esiste, per i teosofi, un flusso di individualità egoiche chiamate "monadi" che, emanate in origine dalla sorgente dell'essere, "scendono a spirale" a circoscrivere una catena composta da sette globi, compresa la terra; questa catena viene definita "catena planetaria".
    L'onda vitale propria delle monadi percorre una prima volta i globi 1, 2, 3, ecc... poi ci ritorna altre sei volte, per un totale di 7 volte, ognuna di esse dominata da una "razza", o "umanità dominante". Ad ogni ritorno ai singoli globi, si compie un giro, o "ronda", in cui le monadi ripartono da un gradino superiore, o livello superiore di attività. Pertanto, in ogni globo, si succedono 7 "razze", o "umanità dominanti". Vi sono poi, per ogni "razza", 7 sotto razze; ogni sotto razza possiede 7 diramazioni o branche; ma quello che è qui importante precisare è che i termini "razza" e "sotto razza", non vanno intesi in senso razzistico o deteriore come si potrebbe essere tentati di fare, bensì come diversificazioni a livello di "epoche" e di umanità dominanti quelle epoche. Anche le "sotto razze", nell'accezione evolutiva, sono solo differenti stadi di reintegrazione della monade animica.
    Secondo gli insegnamenti teosofici, l'anima umana è ora nella sua quarta ronda, alla metà della quinta razza di questa ronda.
    Il numero di incarnazioni necessarie per compiere ogni "ronda" è altissimo ed inevitabile.
    Inoltre, tra una incarnazione e l'altra, c'è un periodo di riposo nel cosiddetto "Devachan", o "mondo celeste" in cui l'anima si prepara alle esperienze future dopo aver preso piena coscienza dei passi fin lì compiuti e delle esperienze trascorse.
    Anche sulla durata di questo riposo la Teosofia dà delle indicazioni: esso dipende dal grado di sviluppo dell'anima. Ma poi, precisando, esprime un'unità temporale media a mio parere eccessiva: 15 secoli.
    Al di là, comunque, delle differenti opinioni particolari, dobbiamo cogliere gli aspetti più importanti di queste enunciazioni le quali ci dispiegano un universo strutturato ciclicamente in senso evolutivo, conformemente agli insegnamenti iniziatici di tutti i tempi.

    tratto da: www.isolafelice.info/Druidismo.htm

     
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    Nemeton: il bosco sacro dei celti

    di Balocchi Luigi


    Per i Celti, la divinità non poteva essere rinchiusa in un recinto o in un tempio. Era nella natura e nei boschi, e dentro di noi: nel Nemeton, il centro, il bosco sacro (il termine ha la stessa radice del latino nemus).

    Nelle frequentazioni con i luoghi dello spirito, può capitare di imbattersi in una sorta di doloroso smarrimento, guado di ombre e irrisolti interrogativi, nel quale pare si debba pagare un alto prezzo all'ansia della ricerca intrapresa. Tale esperienza si può chiamarla notte dell'anima o vacuità del cuore, o in altro modo, a seconda delle differenti tradizioni esoteriche cui ci si riferisce. Per il celtismo pagano, useremo la denominazione essere nel punto medio. Chiunque ricerchi spiritualmente la via degli dei interiori o, se vogliamo, dell'illuminazione animica, è sottoposto ad ardue prove iniziatiche. Tra queste, l'essere nel punto medio assume una particolare e beneaugurante configurazione interiore.

    Per i celti pagani, difatti, e cito l'indiscussa autorità dello storico romano Lucano, la morte fisica null'altro è che un punto medio in una lunga vita. Certi dell'immortalità dell'anima, i Celti avvertivano l'accadimento funebre quale passaggio, punto medio tra resistenza mortale e l'entrata nella terra degli antichi dei. Ma, ancor distante l'evento fatale della morte fisica, la sapienza celtica ci informa su altri tipi di punti medi, in cui chi ha iniziato il cammino delle conoscenze, avverte il dolore di un passaggio da una condizione precedente a una consapevolezza superiore che pure stenta nel delinearsi compiutamente. In tali accadimenti, per la sapienza celtica è auspicabile recarsi in un solo luogo: il Nemeton, ovverosia il Bosco sacro. La sua valenza è interiore: è il luogo deputato ai riti druidici, ma ancor più il ricetto dell'anima in cerca, afflitta da dubbi e smarrimenti.

    Per oltrepassare il punto medio dell'essere occorrerà quindi addentrarsi nel Nemeton. Quando ne sentite il bisogno, sedetevi per terra assumendo una posizione ieratica, armoniosa; dopodiché, inspirate dolcemente portando la massima concentrazione sul centro frontale, poco sopra la radice del naso. Tra l'inspirazione e l'espirazione, trattenete per qualche istante il respiro e dite mentalmente: Nemeton. È un logodinamo che dissolve più di una nebbia, come il sanscrito Om; alternando le fasi respiratorie con la pronuncia del nome sacro, e con la prolungata concentrazione sul Nemeton, si arriva ad assumere quell'immaginifico mentale necessario per superare le nebbie in cui ci pare di essere perduti. Taliesin il Bardo non ebbe altro luogo in cui rifugiarsi che un bosco sacro, allorché volle accedere alla completa conoscenza di sé stesso.

    Si narra che lo stesso fece Myrrdin-Merlino, all'atto di scegliere fra il mondo degli uomini e il regno dell'armonia. La tradizione celtica è tutta colma di esempi del genere: rifugiandosi nel Nemeton, che è innanzitutto un luogo dello spirito, è possibile ritrovare il cammino perduto.

    www.nonsoloanima.tv/index.php?contr...4&article_id=87
     
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1 replies since 30/1/2010, 15:50   812 views
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