Il mistero di Passo Dyatlov

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  1. Matilde di Canossa
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    Un avvenimento sconosciuto accade la notte del 2 febbraio 1959 lungo il versante occidentale del monte Cholat Sjachl, negli Urali.

    Nove escursionisti trovarono la morte in circostanze che non furono mai chiarite.
    La spedizione era composta da 8 uomini e 2 donne, il loro obbiettivo: raggiungere l'Otorten una montagna che si trova a 10 chilometri più a nord dal punto in cui avvenne l’incidente.
    La spedizione era così composta:
    1. Igor Alekseevič Djatlov capospedizione, 13/1/1936
    2. Zinaida Alekseevna Kolmogorova 12/1/1937
    3. Ljudmila Aleksandrovna Dubinina 11/1/1936
    4. Aleksandr Sergeevič Kolevatov 16/11/1934
    5. Rustem Vladimirovič Slobodin 11/1/1936
    6. Jurij Alekseevič Krivoniščenko 7/2/1935
    7. Yurij Nikolaevič Dorošenko , 12/1/1938
    8. Nikolaj Vasil'evič, 5/6/1935
    9. Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv 2/2/1921
    10. Yurij Efimovič Yudin 1937
    Tutti esperti di alpinismo e sci di fondo.




    Di loro uno solo si salvo, Yuri Yudin, tornato indietro per motivi di salute, si stacco dal gruppo il 28 gennaio, fu l’ultimo a vederli vivi. Il gruppo proseguì l’escursione.

    Il 31 gennaio il gruppo raggiunge il fiume Auspia e qui creano una base, lasciando anche dei viveri per il viaggio di ritorno.

    Il primo febbraio , iniziarono la scalata, piantando una tenda sul monte Kholat Syakhl (1.110 m.).
    I Diari dei ragazzi componenti il gruppo si ferma a questa data.
    E’ una notte fredda , il termometro segna 18 gradi celsius sotto zero, per quei luoghi la temperatura non è molto bassa dove si possono registrare anche 30 gradi celsius sotto zero.
    C’è un leggero vento 8 – 11 nodi ( 10- 15 km. Orari).
    Si presume che alcuni di loro si siano addirittura spogliati, prima di dormire.
    Il 12 febbraio, il gruppo avrebbe già dovuto essere di ritorno a Vizhay ed inviare il telegramma dell’avvenuto completamento della missione.
    Attesero il 14 febbraio, perché era stato messo in programma anche il posticipare il rientro di qualche giorno.
    Il 20 febbraio i parenti spazientiti cominciano a far pressione a causa della mancanza di notizie.
    Partono le ricerche. Dei ragazzi non c’è traccia, sembrano svanite nel nulla. Poi un pilota in ricognizione nota qualcosa
    Il 26 febbraio, quando i soccorritori arrivano a quello che era l’accampamento.
    C’è una tenda semisepolta dalla neve. E’ quella dei ragazzi. L’equipaggiamento è quasi tutto al suo posto. Strano, abiti caldi, coperte, zaini, giacche a vento, pantaloni. Tutto. Anche la tenda sembrerebbe a posto. Peccato che su di un lato, quello sottovento, è lacerata. Più tardi si scoprirà che è stata tagliata, ma dall’interno. Dai brandelli di tenda che si agitano rigidi in balìa del vento gelido, parte una traccia netta che per mezzo chilometro attraversa la neve. Arriva fin quasi al bosco, dove inizia la valle del fiume Lozvy.
    Poi più nulla. Impronte per un totale di otto, forse nove persone. Alcune orme sono meno profonde ma più definite. Sono impronte di valenki (stivali soffici) o di calzini, forse addirittura di piedi nudi. Non può essere. A meno che non si sia trattato di un fuga. Sì, è possibile. Una fuga frettolosa.
    Non è normale, i soccorritori iniziano ad agitarsi.

    A nord-est, 1500 metri dopo e dall’altro lato del passo, c’è un albero immenso. E’ un pino secolare, e nei pressi della sua base i ricercatori ritrovano tracce di legna carbonizzata, come se qualcuno avesse acceso un falò proprio in questo punto. Forse sono stati i due che giacciono nella neve qualche passo più in là. Georgyi Krivonischenko e Yury Doroshenko. Scalzi e con indosso soltanto la biancheria,
    I ragazzi hanno addosso dei rami , spezzati dall’albero ad un’altezza di circa 5 metri da terra. Sulla corteccia, i primi esami rilevano tracce di pelle ed altri tessuti biologici. Uno dei ragazzi ha spezzato i rami. L’altro si è arrampicato sul pino a mani nude. Dall’albero si scorge quel che resta della tenda. I soccorritori iniziano a convincersi che c’è ben poco da soccorrere, e percorsi trecento metri trovano un altro cadavere. E’ Igor Dyatilov, il ventitreenne capo spedizione. Riverso sulla schiena con il capo rivolto in direzione del campo. In una mano stringe un ramo, mentre l’altro braccio è riverso sulla testa come ultimo, disperato tentativo di protezione.
    I soccorritori non sanno darsi una spiegazione a quello che hanno travato.
    Poi trovano Rustem Slobodin. A 180 metri appena, in direzione della tenda. Il viso sprofondato nella neve, sembra morto di ipotermia. Anche se una singolare frattura gli segna il cranio per un lunghezza totale di 17 centimetri. Una lesione che, secondo i patologi, non è di per sé sufficiente ad uccidere. Dalla posizione di Slobodin, che sembra essersi trascinato con le ultime forze in direzione della tenda, si scorge un altro corpo. E’ Zina Kolmogorova. Intorno al suo cadavere, parecchie tracce di quello che a buon diritto potrebbe essere sangue. Successivi esami confermano la natura del liquido, ma al contempo stabiliscono che non è quello della ragazza
    A prima vista sembrerebbero morti assiderati, le mani bruciate con tutta probabilità dal clima rigido della notte uralica. Ma nessuno di loro è morto in pace. Tutti in pose dinamiche, come se avessero lottato con qualcosa.
    Mancano ancora 4 ragazzi all’appello. Verranno ritrovati il 4 maggio.

    <<continua>>
     
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  2. Matilde di Canossa
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    Quando un incendio sviluppatosi nella valle di un affluente del Lozvy fa in modo che le autorità raggiungano una fenditura stracolma di neve che si apre nel terreno. Qui, in un crepaccio sotto 4 metri abbondanti di neve, c’è quel che resta degli escursionisti che ancora mancano all’appello.
    Nonostante anche loro siano mezzi nudi, a confronto dell’altro gruppo hanno qualche vestito in più addosso. Potrebbe forse sembrare che abbiano prelevato qualche indumento dai compagni, magari hanno
    tentato di trasportarli quando erano feriti. Alexander Kolevatov e Nikolay Tibo-Brignoles, che ha il cranio fracassato ed indossa due orologi (uno fermo alle 8:14 del mattino, l’altro alle 8:39). Alexander Zolotarev presenta fratture all’emicostato destro. Ludmila Dubinina ha un piede rozzamente fasciato dai pantaloni di lana di Georgyi Krivonishenko, e presenta anche lei fratture simmetriche al costato. In questo caso, una delle costole si è conficcata in un secondo tempo nel cuore, causando una massiccia emorragia cardiovascolare dopo l’impatto. In più, a Ludmila è stata asportata la lingua. Il cappotto di pelliccia di Ludmila, insieme al suo cappello, è però indosso a Zolotarev. Eppure, nessuno presenta segni esterni di colpi. Le ultime quattro salme vengono esaminate in fretta, ed in fretta deposte nei feretri per restituirli alla terra.

    Ai funerali, tra i tanti curiosi, è presente Yuri Yudin. Annichilito per la perdita dei compagni, certo, da quello scherzo del destino che fa di lui l’unico sopravvissuto ad un massacro che attende ancora una spiegazione. Resterebbe a lungo perduto tra i suoi pensieri senza forma, se qualcosa in quei corpi non lo turbasse oltre l’orrore della macabra fine cha ha scampato per un soffio appena. Sono tutti abbronzati. La loro epidermide è talmente infiammata da tendere all’arancione. E’ lo stesso colorito che ha visto negli altri, ritrovati relativamente subito rispetto alla tragedia e seppelliti qualche tempo prima. Ancora, i capelli di tutti sono improvvisamente diventati brizzolati. E non si è mai vista una cosa del genere in un gruppo di ventenni. Quando trapela la diceria secondo la quale gli esami forensi hanno rilevato su alcuni degli – scarsi – indumenti consistenti tracce di radioattività, come se i ragazzi avessero maneggiato materiale di questo tipo o si fossero attardati in un’area contaminata, quelle strane morti sembrano in un certo macabro modo aver più senso.


    (tenda dei ragazzi, rimontata dopo il ritrovamento)

    La prima ipotesi formulata e quella che i ragazzi sono rimasti vittima di un’esercitazione militare missilistica.
    Ma il ministro della difesa nega che in quel giorno , in quella zona sia stato portato a termine un’esercitazione.
    Su quel monte non è caduto nessun razzo.
    Le autorità chiusono il caso: Decesso provocato da forza sconosciuta ed irresistibile questo è quanto riportano su tutti i certificati di morte dei nove ragazzi.
    Un’altra teoria e quella che ad uccidere i ragazzi siano stati uccisi dai Mansi, una tribù che molti anni prima aveva affogato una geologa perché aveva oltrepassato i loro terreni sacri.
    Ma sebbene il Kholat-Syakhyl e l’Otorten giochino un ruolo considerevole nel folklore Mansi, nessuno dei due rilievi è sacro al punto da essere considerato taboo.

    nche se l’etimologia del secondo è “Non andare là”, mentre il primo significa “Montagna dell’Uomo Morto” in ricordo di alcuni membri della tribù periti in questo luogo in tempi immemori. Nove, per la precisione. Ma il villaggio Mansi più vicino dista quasi 100 km, e la tribù è ormai in pace con la popolazione russa.

    Altra ipotesi: Orsi o lupi, ma l’ipotesi non sarebbe comunque compatibile con le condizioni delle salme.
    Una banda di criminali? Forse i ragazzi sono stati scambiati per dei criminali evasi da un campo di prigioni nelle zone limitrofe. Ma non ci sono impronte, se non quelle riconducibili ai ragazzi.


    (alcune corpi dei dei componenti la spedizione)

    Il Dottor Boris Vozrozhdenny ha esaminato da vicino i corpi. Alcuni hanno subìto urti troppo vigorosi per essere stati provocati dall’uomo. Sembrano quelli provocati dall’impatto di un’autovettura. Oppure, quelli di una morsa a cui non potevano sottrarsi, aggiunge il criptozoologo Mikhail Trankhtengertz, che sostiene invece l’ipotesi di un incontro notturno con una creatura di 3 metri di statura assai comune nel folklore: l’Almasti.

    U.F.O?

    Sono stati tirati in ballo anche gli gnomi.
    Sta di fatto che, fino a tutto il 1962, tutta l’area circostante è rimasta off-limits per escursionisti, curiosi e visitatori. Una semplice precauzione per evitare incidenti ai tanti sportivi della prima ora? E che ruolo hanno avuto le autorità sovietiche in tutto questo?
    Forza maggiore a parte, ciò che resta dopo decenni è forse il più semplice degli interrogativi. Eppure si tratta allo stesso tempo della domanda per la quale nessuno ha ancora trovato adeguata spiegazione. Perché nove persone fuggono dal loro rifugio in condizioni meteo estreme, consci di andare incontro non solo al gelo ma con tutta probabilità anche alla morte?
    E’ la vicenda della Gora Otorten, della Montagna dell’Uomo Morto che getta la sua ombra su una regione a 1900 km ad est di Mosca, e dei fatti avvenuti quasi mezzo secolo fa presso il famigerato Passo Dyatlov. Se si è fortunati ed il narratore è particolarmente in forma, le rievocazioni includeranno anche la leggenda dei nove Mansi periti sulla Montagna dell’Uomo Morto, e finiranno accennando al fatto che, nel 1991, un aereo si sarebbe schiantato sul Passo con un pugno di passeggeri a bordo, tutti deceduti, naturalmente. Per la precisione, sarebbero stati nove. Ancora una volta. “Se mi fosse data la possibilità di rivolgere una ed una sola domanda all’Onnipotente, gli chiederei di dirmi cosa è accaduto quella notte ai miei amici.”

    Nel 2000 è stata fatta una fondazione per dare un seguito alle indagini troppo frettolosamente concluse quaranta anni prima. Per valutare il caso alla luce, ad esempio, dei molti report presentati a suo tempo circa presunte sfere volanti luminose, avvistate sull’area tra febbraio e marzo 1959 (con un picco registrato il 17 febbraio). Pare che un altro gruppo di studenti, accampato 50 km più a sud del Gruppo Dyatlov, ricordò di aver assistito all’insolito spettacolo di palle di fuoco sospese nel cielo notturno.
    Forse si trattava di un abbaglio. Magari erano soltanto illusioni ottiche, sommate alla stanchezza di una giornata pesante fra i monti. Ma le sfere volavano proprio sul Kholat-Syakhl, e quella era proprio la maledetta notte in cui i nove andarono incontro alla morte. Seguendo questa pista, si può ipotizzare che uno dei ragazzi forse uscì dalla tenda durante la notte, avvistò l’inquietante fenomeno ed allertò gli altri affinché si affrettassero nella foresta. Forse, ma qui andiamo ben oltre la semplice logica ipotetica, la misteriosa sfera esplose in aria mentre gli escursionisti correvano. Lasciando quattro di loro inerti al suolo e ferendo al contempo gli altri. Una versione forse azzardata, questo è vero, ma che è stata fatta propria anche da Yudin. I suoi amici sarebbero dunque inavvertitamente entrati in un luogo che doveva restare inaccessibile. Probabilmente, nel perimetro utilizzato per un esperimento militare supersegreto


    (penultima foto scattata dai ragazzi)
    a che non può essere validata del tutto ricorrendo unicamente ai documenti declassificati nel 1990. Semplicemente perché gli indizi fondamentali mancano, e non si dispone, ad esempio, di informazioni precise circa le condizioni degli organi interni dei ragazzi. Questi, secondo Yudin, sono stati subito prelevati ed inseriti in contenitori speciali per esami approfonditi, per poi sparire nel nulla. Lo stesso Yudin è arrivato a sostenere che le autorità militari avrebbero aperto un‘indagine sulla sparizione dei ragazzi ben due settimane prima di quella ufficiale, in data 6 febbraio 1959.
    (
    (due delle nove vittime)
    Sta di fatto che, se confrontiamo l’incerta storia del Passo Dyatlov con quella dell’Unione Sovietica in quel frangente storico, balzano immediatamente all’occhio almeno un paio di dettagli. Primo: nel 1957 l’Unione Sovietica ha inviato dal Cosmodromo kazako di Baikonur il primo satellite nello spazio. Siamo ad appena due anni prima della tragedia. Secondo: nel 1961, dalla medesima base si stacca Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio. Ed arriviamo a due anni dopo il nostro incidente. Ora, può la tragica fine del Gruppo Dyatlov porsi in mezzo ai due eventi? Esiste un legame tra questi fatti che renda conto del massacro considerando l’ipotesi di un incidente connesso con la forsennata corsa sovietica allo spazio?
    Potrebbe sembrare plausibile, forse. Ma tutto questo si va a scontrare, ancora una volta, con l’assoluta mancanza nella zona di impronte diverse da quelle dei nove. Igor Dyatlov aveva un migliore amico. Il suo nome è Moisei Akselrod. E’ stato lui uno dei vecchi curiosi che hanno a lungo indagato sugli strani fatti del ’59. Ma la sua è una teoria assai meno fantasiosa.

    (ultima fato scattata dai ragazzi)
    Moisei propende per l’ipotesi dell’imprevisto atmosferico. Una valanga, a suo parere, avrebbe colpito la tenda dei nove sciatori nel bel mezzo della notte. Alcuni sarebbero rimasti feriti nell’impatto, e la consistente massa di neve avrebbe tra l’altro bloccato l’ingresso del rifugio, costringendo i ragazzi a lacerare la tenda per cercare scampo. Il loro errore assoluto, in questo senso, sarebbe stato costituito dall’aver imboccato la strada sbagliata. Acceso il fuoco avrebbero provveduto a distribuire i pochi vestiti portati con sé ai feriti, che non avrebbero mostrato segni di impatto diretto in quanto la valanga li avrebbe raggiunti non direttamente, ma attraverso il tessuto della tenda. Ma gli sciatori hanno camminato nella notte per più di un chilometro, ad una temperatura considerevolmente inferiore allo zero. Molti di loro, tra l’altro, riportavano ferite tali da ridurre in stato d’incoscienza, ed anche considerando la possibilità che fossero stati pietosamente trasportati altrove dagli altri, la sequenza delle morti non combacia affatto con un incidente occorso contemporaneamente a tutti (perché la Dubinina, che aveva riportato la lesione peggiore, è stata trovata ben oltre l’inizio del bosco, mentre due suoi compagni, maschi ed in salute, sono morti di ipotermia in prossimità del pino, a centinaia di metri di distanza dal crepaccio in cui la donna è stata trovata?). Ancora una volta, sono davvero molti gli interrogativi che questa storia lascia dietro di sé.
    su quello che oggi si chiama, purtroppo, Passo Dyatlov, sorge un piccolo obelisco di pietra con nove fotografie ovali. Ricorda la tragedia del 1959. Igor Dyatlov e Rustem Slobodin, 23 anni. Alexander Kolevatov, 25. Georgyi Krivonischenko, Nikolay Tibo-Brignoles e Yury Doroshenko 24. Ludmila Dubinina, appena 21. Zinaida (Zina) Kolmogorova, 22. Alexander Zolotarev, il più “vecchio” del gruppo, 37 anni. Nove vite sottratte senza una spiegazione. Il prezzo terribile del segreto dell’Otorten.

    (obelisco in memoria dei nove ragazzi)


    La stragrande parte del materiale è tratto da :
    www.terraincognitaweb.com/il-mistero-di-passo-dyatlov/
     
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  3. biancajana
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    Veramente una tragedia!

    Anzitutto io penso che se la causa della loro fuga fosse stata solo la valanga, questi ragazzi non si sarebbero ritrovati sparpagliati qui e là per il bosco..con dei rami in mano, come per cercare di scacciare qualcosa o qualcuno, una minaccia..addiritura salendo sopra gli alberi..darei quasi per sicura l'ipotesi di una fuga e di un inseguimento..il problema è capire da parte di chi..sicuramente sono stati colti alla sprovvista, in quanto se l'unica via era scappare e difendersi con dei rami tutt'al più, non hanno fatto in tempo a recuperare nient'altro dal campo..sono fuggiti alla svelta, da qualcosa che gli ha aggrediti e feriti...

    Leggo che si è parlato di ufo, visti i vari avvistamenti di luci..luci che si potrebbero spiegare con la circostanza che quella rimane comunque un'area utilizzata per operazioni ed esercitazioni militari missilistiche...ma anche in quel caso tentare di salire su un albero non mi sembra un gesto che fa pensare di sfuggire a un missile o a un esplosione..e se non può essere associato a un'aggressione da parte di un'animale perchè le ferite riscontrate non sono conciliabili con questa, è allora un attacco ad opera umana e non penso singolo...per fuggire così semi nudi nel bosco, praticamente colti di sorpresa mentre riposavano, doveva trattarsi di una sorta di invasione del loro accampamento...e di qualcuno che non li voleva lì...probabilmente poi, ottenuto ciò che volevano, gli aggressori stessi hanno constatato che sarebbero morti assiderati, per le ferite riportate, condizioni climatiche etc.. e gli hanno lasciati a spegnersi lì.

    Brutta vicenda..
     
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    Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi in mezzo a biasimi e lodi (Buddha)

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    Ma avete notato la presenza di numer "1" nelle date di nascita??
     
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  5. biancajana
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    Sì guardavo, tra cui due nati lo stesso giorno, mese e anno, forse gemelli? mha, per te cosa può simboleggiare questo affollamento di numeri 1?
     
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    Ma hanno cognomi diversi !

    Interessante ! Faró ricerche in proposito !

    Sarebbe utile avere la data di nascita del sopravvissuto !
     
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  7. Matilde di Canossa
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    Yuri Yudin è morto il 27 aprile 2013

    http://ohsnapnews.com/published-diary-sole...-dyatlova/4920/

    Ho trovato anche quest'altro aritcolo:

    http://ru-facts.com/news/view/19188.html

    entrambi sono in inglese.

    Non riesco a trovare la sua data di nascita.

    Maty

    Yuri Yefimovich Yudin (Юрий Ефимович Юдин), nato il 19 luglio 1937, è morto 27 Aprile, 2013


    L'ho trovato sulla wikipedia inglese-

    http://en.wikipedia.org/wiki/Dyatlov_Pass_incident
     
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    Grazie Maty ! Non conoscevo questa storia e ho visto che hanno tutti delle date di nascita, eccezion fatta per un paio, per cui i Soli erano in aspetto. Due addirittura nati lo stesso giorno, mese ed anno.

    Affascinante !
     
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  9. Matilde di Canossa
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    Questo fatto dal giorno in cui ne venni a conoscenza mi a sempre molto incuriosito....il dormire semi vestiti, considerando il freddo...il fuggire così di corsa senza prendere indumenti per di più lacerando la tenda....e perchè poi sparpagliarsi e nn far ritorno al campo dove avrebbero potuto riprendere le loro cose....e come son stati trovati i corpi.....poi nn avevo fatto caso alle loro date di nascita.....wowo questa vicenda mi prende sempre di più

    Maty
     
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  10. biancajana
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    Vero Maty! Notare poi che non sono stati colpiti da armi da fuoco...questo non fa pensare a un gruppo di persone armate in tal senso, inoltre si parla di luoghi piuttosto ardui da raggiungere per chiunque...
     
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  11. Matilde di Canossa
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    tutto molto intrigante e misterioso
    Maty
     
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  12. Aliena
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    Caspita che storia intrigante!! Ma se invece fossero stati vittima di poltergeist? In questo caso si spiegherebbe il fuggi fuggi, le ferite, la tenda lacerata, il tentativo di difendersi brandendo bastoni, ma tutti gesti inutili perchè rivolti a esseri non fisici. E quindi anche il fatto che non vi sia traccia degli inseguitori, o comunque tracce diverse da quelle degli esploratori...

    P.S. io quando leggo 'ste cose che mi prendono un casino, mi viene voglia di partire e andare subito in quel posto a cercare reperti/oggetti/prove ecc...cavoli, mi prendono un sacco 'ste cose!
     
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    I poltergeist non uccidono nessuno. Sono entità dispettose... :)
     
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  14. iceland
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    Infatti ciò che penso io..sarebbe interessante dare un occhio ai temi natali di questi ragazzi.

    intanto sono stata incuriosita anchio dal numero 1:

    SIGNIFICATO ESOTERICO E SIMBOLOGIA DEL NUMERO 1

    Il numero Uno è il principio divino. Ogni cosa nasce dall'Uno. L'Uno è il tutto, l'Eterno Infinito Essere, che non ha forma e possiede tutte le forme, che non ha nome e possiede tutti i nomi. Essendo indivisibile, indica principalmente l’unità, la sua forza sta nel suo valore qualitativo di unire e di origine, per questo motivo è un numero sacro venerato dall’antichità. Tutte le tradizioni parlano di un origine in cui regnava l’unità, il non-manifesto senza divisione, l’unificazione delle energie e la totalità. Da questa origine sono nate tutte le cose e la manifestazione. Dall’Uno scaturiscono due energie uguali e contrarie che formano la materia. L'unione di queste due energie, maschile e femminile, dentro l'Uno, creano la nuova vita. L’unità è il principio armonizzante, ma se questa unità si rompe lascia il posto alla molteplicità. Il pantheon della mitologia antica, contemplava una molteplicità di dei come epifania degli elementi naturali, governata da una divinità suprema, ricordo dell’unità fondamentale. Simbolo dell’Uno è il cerchio essendo senza inizio e senza fine. L’Uno, in quanto simbolo unificante, ha un grande capacità evocatrice, permette di creare legami riunendo gli elementi separati, come la terra e il cielo, il macrocosmo e il microcosmo. L’Uno nella simbologia esoterica non è considerato un numero avendo una valenza principiale come unità, da cui si originano e fanno ritorno tutti i numeri.
     
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  15. Aliena
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    Bè, non so, magari quelle entità non hanno ucciso ma li hanno spaventati e loro dopo sono morti di stenti...però in effetti è strano che non abbiano almeno provato a ritornare alla tenda, una volta che gli spiritelli se ne fossero andati...e se fosse un caso tipo come quello del chupacabra, ma in versione russa? Una creatura simile, che "seleziona" in quale modo far del male alle creature che sceglie.
    Secondo me poi bisognerebbe analizzare anche il numero 9, che mi sembra essere determinante affinchè avvengano questi misfatti...sarà un caso che il decimo esploratore d'improvviso sia dovuto tornare indietro e ha così "permesso" che rimanessero in 9? Se fosse rimasto con loro, sarebbe accaduto lo stesso, o il numero di componenti avrebbe impedito a quell'evento di manifestarsi?
     
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21 replies since 19/5/2013, 17:57   1273 views
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