Il Disco di Festo

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    Disco di Festo
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    Il Disco di Festo è un reperto archeologico ritrovato nell'omonima città di Festo, sull'isola di Creta, sotto un muro di un palazzo minoico.

    Fu trovato il 3 luglio del 1908 da una spedizione archeologica italiana guidata da Luigi Pernier e Federico Halbherr. Oggi lo si può ammirare nel Museo archeologico di Iraklio a Creta. È un disco di terracotta, delle dimensioni di 16 centimetri di diametro e 16 millimetri di spessore; la datazione stratigrafica ne attribuisce l'età al 1700 a.C.

    Descrizione

    Il disco è ricoperto di simboli impressi con stampini quando l'argilla era ancora fresca, disposti a spirale su entrambe le facce, in una sequenza in senso orario che va verso il centro. I simboli totali sono 241, e sono suddivisi in piccoli gruppi da sottili linee. La scrittura è stata eseguita con grande cura dei dettagli, in modo da chiudere la spirale esattamente nel centro e da occupare tutto lo spazio disponibile. L'interpretazione più accreditata è che si tratti di una forma di scrittura sillabica, anche perché l'elevato numero di simboli distinti (45) sembra escludere la possibilità che si tratti di segni alfabetici. In ogni caso i segni del disco sono rimasti indecifrati, e non rivelano somiglianza formale con quelli di nessun'altra scrittura conosciuta..

    Il suo scopo e significato, e anche la sua originaria ubicazione geografica della manifattura, restano ancora discussi, facendo di esso uno dei più famosi misteri dell'archeologia.

    Il disco di Festo cattura l'immaginazione di archeologi dilettanti e professionisti, e molti tentativi sono stati fatti per decifrare il codice nascosto nei segni del disco. Mentre non è chiaro se esso sia proprio un testo, la maggior parte dei tentativi di decrittazione hanno fatto presumere che esso sia, in massima parte un sillabario, oppure un alfabeto o una logografia. Si pensa che i tentativi di decifrarlo siano generalmente destinati all'insuccesso, se non vengono avallati da altri documenti e fonti sufficienti, disponibili per un'analisi significativa.

    Sebbene il Disco di Festo sia generalmente accettato come autentico dagli archeologi, alcuni studiosi hanno avanzata l'ipotesi che il disco sia una contraffazione o una truffa.

    l Disco di Festo venne scoperto nel sito del palazzo minoico di Festo, vicino a Haghia Triada, sulla costa sud di Creta;[1] specificamente il disco venne trovato nel seminterrato della stanza 8 nell'edificio 101 di un gruppo di costruzioni a nord-est del palazzo principale. Questo combinazione di 4 stanze serviva anche come un'entrata formale al complesso palaziale. L'archeologo italiano Luigi Pernier recuperò questo straordinario "disco" intatto, di circa 15 cm di diametro e in modo uniforme poco più di un centimetro di spessore, il 3 luglio del 1908 durante il suo scavo del primo palazzo minoico.

    Scoperta

    Esso venne trovato nella cella principale di un "magazzino del tempio" sotterraneo. Queste celle seminterrate, soltanto accessibili dall'alto, erano ordinatamente coperte con uno strato di fine intonaco. Il loro contenuto era scarso di manufatti preziosi, ma ricco di terra nera e ceneri, miste ad ossa bovine bruciate. Nella parte settentrionale della cella principale, nello stesso strato nero, pochi pollici a sud-est del disco e circa venti sopra il pavimento, fu trovata anche la tavoletta PH-1 in lineare A. Il sito apparentemente collassò a causa di un terremoto, possibilmente collegato con l'eruzione esplosiva del vulcano di Santorini che colpì gran parte della regione mediterranea verso la metà del II millennio a.C.

    Autenticità

    Il Disco di Festo è generalmente accettato come autentico dagli archeologi.[2] La supposizione dell'autenticità è basata sui documenti dello scavo di Luigi Pernier, e venne supportata dalla successiva scoperta dell'Ascia di Arkalochori con glifi simili ma non identici.

    La possibilità che il disco sia una contraffazione del 1908 o una burla è stata sollevata da due o tre studenti insieme al mercante d'arte Jerome Eisenberg.[3] Secondo una notizia apparsa sul Times la data di manifattura non è mai stata stabilita dalla termoluminescenza[4] Nella sua rivista del 2008, Robinson scrisse "un test di termoluminescenza per il Disco di Festo è imperativo. Esso o confermerebbe i nuovi reperti meritevoli per la ricerca, o fermeranno gli studiosi dallo sciupare i loro sforzi"[3]
    Datazione

    Yves Duhoux (1977) data il disco tra il 1850 a.C. e il 1600 a.C. (MMIII) sulle basi delle notizie fornite da Luigi Pernier, il quale dice che il Disco fosse in un contesto indisturbato del Medio Minoico. Jeppesen (1963) lo data dopo il 1400 (TMII-III). Dubitando della capacità del rapporto di Pernier, Louis Godart (1990) rinuncia egli stesso ad ammettere che, archeologicamente, il disco possa essere datato dunque nel Medio o Tardo Minoico (MMI-TMIII, un periodo che abbraccia la maggior parte del II millennio a.C.). J. Best (in Achterberg ed altri, 2004) suggerisce una data nella prima metà del XIV secolo a.C. (TMIIIA) in base alla sua datazione della tavoletta PH 1.
    Tecnica di "stampa"

    L'iscrizione venne apparentemente fatta imprimendo dei sigilli geroglifici, uno per ogni simbolo, nella soffice argilla, in una sequenza spiraliforme a partire dal centro verso l'esterno. Il disco poi veniva cotto ad alta temperatura. L'unico carattere del Disco di Festo sembra derivare dal fatto che l'intero testo sia iscritto in questo modo, riproducendo un blocco di testo con caratteri riusabili.

    Il linguista tedesco Herbert E. Brekle teorizza che il Disco di Festo sia un antico documento di stampa a caratteri mobili ante litteram, nel suo articolo "Il principio tipografico" della Gutenberg-Jahrbuch:[5]
    « Una prima chiara incidenza per la realizzazione del principio tipografico è il noto Disco di Festo (1800-1600 a.C. ca.). Se il disco è, come si presume, una rappresentazione testuale, noi abbiamo a che fare veramente con un testo "stampato", che soddisfa tutti i criteri di definizione del principio tipografico. L'ordinamento nella spirale delle unità grafematiche, il fatto che esse siano impresse in un disco d'argilla (simulazione di stampa!) e non stampate, le rende meramente possibili varianti tecnologiche di rappresentazione testuale. Il fattore decisivo è che i "tipi" materiali si dimostrano essere ripetutamente impressi sul disco d'argilla.[5] »

    Nel suo lavoro sulla decifrazione, Benjamin Schwartz ugualmente associa al disco "il primo tipo mobile".[6]

    Nel suo libro Armi, acciaio e malattie, Jared Diamond descrive il disco come un esempio di avanzamento tecnologico fatto in un periodo storico sbagliato. Diamond nota l'assenza di ogni successivo progresso del tipo mobile nella cultura minoica, citando questo come prova del problema enigmatico di necessità e invenzione. Specificamente, Diamond ipotizza che gli esseri umani spesso inventano cose senza un effettivo bisogno, come viene evidenziato nel Disco di Festo, e che talvolta tali invenzioni hanno un successivo sviluppo, mentre altre volte no. Diamond aggiunge che il tipo mobile fosse meno efficiente della semplice scrittura a mano sull'argilla, e forse ciò spiega perché la tecnologia non si sviluppò mai ulteriormente nella civiltà minoica. Egli mette in contrasto questo con la stampa di Gutenberg, argomentando che i suoi ulteriori sviluppi fossero dovuti a un grande numero di finanziatori commerciali, e alla crescita societaria che aspirava a un più conveniente accesso alla parola stampata.[7]

    Segni

    Ci sono 241 simboli impressi sul disco, dei quali 45 unici. Molti di questi 45 segni rappresentano cose quotidiane facilmente identificabili. In aggiunta a questi, c'è una piccola linea diagonale che si verifica sotto il segno finale in un gruppo per un totale di 18 volte. Il disco mostra tracce di correzioni fatte dallo scriba in diversi punti. I 45 simboli furono enumerati da Arthur Evans da 01 a 45, e questa numerazione è diventata il riferimento convenzionale usato dalla maggior parte dei ricercatori. Alcuni simboli sono stati confrontati con i caratteri della Lineare A da Nahm,[8] Timm,[9] e altri. Altri studiosi (J. Best, S. Davis) hanno indicato delle rassomiglianze similari con i geroglifici anatolici, o con i geroglifici egiziani (A. Cuny). Nella tabella sottostante, i "nomi" del carattere, come forniti da Louis Godart (1995) sono in maiuscolo; dove viene considerata altra descrizione o elaborazione, essi sono in minuscolo.

    Segni con tratti obliqui

    Ci sono un numero di segni con un tratto obliquo; i tratti non sono impressi, ma intagliati a mano, e sono legati al primo o all'ultimo segno della "parola", secondo la direzione che si sceglie per la lettura. Il loro significato è materia di discussione. Un'ipotesi, sostenuta da Evans, Duhoux, Ohlenroth e altri, è che essi furono utilizzati per suddividere il testo in paragrafi, mentre a altri studiosi hanno proposto significati alternativi.
    Direzionalità

    Evans ipotizzò che il disco fosse stato scritto, e andrebbe letto, dal centro verso l'esterno; perché così sarebbe stato più facile situare l'iscrizione prima e dunque la dimensione del disco da adattare al testo. C'è un consenso unanime riguardo al fatto che egli si fosse sbagliato, e Evans stesso mutò parere: l'iscrizione venne fatta, e andrebbe letta, dall'esterno verso il centro. Ognuno dei centri delle due spirali non coincidono con il centro del disco, e alcuni dei simboli vicino al centro sono affollati, come se l'artefice fosse limitato dallo spazio. Una coppia di simboli è collocata dall'alto in basso, in modo tale che è difficile dire in quale ordine essi si trovassero. Eccetto nella sezione ristretta, quando ci sono affollamenti, il simbolo interno copre il simbolo esterno. Jean Faucounau ha proposto una ricostruzione dei movimenti dello scriba, i quali richiederebbero anche una direzione verso l'interno; Yves Duhoux dice che ogni lettura verso l'esterno debba essere scartata. Malgrado questo consenso, ci sono ancora alcuni tentativi di decifrazione (vedi presunte decifrazioni del Disco di Festo).

    Insieme a questa questione riguardo alla direzionalità del testo sul disco stesso, si hanno diversi punti di vista sul come i caratteri del Disco di Festo sarebbero mostrati quando si trascrivevano nel testo. Il disco stesso probabilmente ha una direzionalità che va da destra verso sinistra (come nella lingua araba), se la lettura procede dall'esterno verso il centro; ciò significa che la direzione della lettura è dentro le facce delle persone e animali, come succede nell'egiziano e nell'anatolico. I caratteri del Disco di Festo sono mostrati con una direzionalità che va da sinistra a destra in questo articolo; che è anche la pratica comune per redigere il testo geroglifico egiziano e anatolico.
    Testo dell'iscrizione

    Ci sono 61 "parole", 31 sul lato A e 30 sul lato B (numerate da A1 ad A31 e B1 a B30, dall'esterno all'interno), qui lette dall'esterno verso l'interno (mettendo all'inizio della parola i segni della "testa piumata" e i tratti alla fine della parola). Le parole più brevi sono di due simboli, la più lunga di sette simboli.

    Tentativi di decifrazione

    Una grande quantità di speculazioni si svilupparono intorno al disco durante il XX secolo. Il disco di Festo catturò l'immaginazione degli archeologi dilettanti. Molti tentativi sono stati fatti per decifrare il codice e i segni del disco. Storicamente, è stato proposto quasi di tutto: preghiere, una storia di narrativa o d'avventura, un "salterio", una chiamata alle armi, un gioco da tavolo, e un teorema geometrico. In questo senso alcune delle più fantasiose interpretazioni sono dei classici esempi di pseudoarcheologia.

    La maggior parte delle interpretazioni linguistiche lo considerano un "sillabario" (nel senso di tavola di caratteri che rappresentano dei simboli), basato sulla proporzione di 45 simboli in un testo di 241 segni tipici per quel tipo di scrittura; alcuni lo vogliono un "sillabario" con simboli logografici sparsi, una proprietà di ogni noto sillabario del Vicino Oriente antico (scrittura in Lineare B come pure cuneiforme e geroglifica). Ci sono, comunque, anche interpretazioni alfabetiche e puramente logografiche.

    Mentre molti sostenitori di ricerche non accademiche credono ancora che il mistero possa essere risolto, la comunità scientifica pensa che ogni ulteriore tentativo di decifrazione sia votato all'insuccesso, poiché, secondo l'orientamento più accreditato, non vi è abbastanza materiale disponibile per un'analisi significativa (salvo che imprevisti progressi riguardo ai segni non portino a qualche diverso percorso di indagine). È infatti improbabile che qualunque nuova decifrazione senza conferma esterna (come un confronto pienamente riuscito con altre iscrizioni) sia accettata come conclusiva.
    Origine del documento
    Origine cretese o straniera?

    Ci sono poche teorie importanti riguardo all'origine dei segni. Nelle prime poche decadi dopo la scoperta la maggior parte degli studiosi argomentò fortemente contro l'origine locale del reperto. Evans (1909:24f.) scrisse che
    « quando si vengono a confrontare le figure nei dettagli con quelle dei segni geroglifici minoici, si osserva una grande discrepanza... Dei quarantacinque segni diversi sul Disco di Festo, non più di dieci, più o meno, somigliano alle forme geroglifiche cretesi... Le figure umane nel loro contorno e costume non sono minoiche... Anche la rappresentazione della nave differisce da tutti i similari modelli che si trovano sia tra i geroglifici che nei documenti in lineare di Creta. »

    Glotz (1925:381) dichiarò che l'argilla non provenisse da Creta. Ipsen (1929:15) concluse che il Disco fosse venuto certamente da qualche parte dell'Egeo. A causa delle sue differenze dalla Lineare A o B, Ipsen ugualmente suppose, come fece Evans, un'origine non cretese del Disco. Egli osserva, comunque, che, dato che la Lineare A era una scrittura egea comune, una tale supposizione non risolve il problema di molteplicità.

    L'Ascia di Arkalochori e altri reperti hanno reso l'origine cretese più popolare: immagini femminili con mammelle cadenti sono state anche trovate a Malia e Festo. (Godart 1995:125). Duhoux afferma la provenienza cretese del disco; nella sua analisi riguardo alla corrente ricerca, Trauth (1990:154) arriva alla conclusione che "Creta come sorgente del Disco non può ormai essere tirata in ballo". Andrew Robinson (2008) in una recensione su Nature, scrisse "la maggior parte degli studenti oggi, incluso Duhoux, pensa plausible come ipotesi di lavoro che il disco fosse stato fatto a Creta".

    Invenzione originale o derivazione?

    Anche Ipsen (1929:11) si esprime contro un'origine interamente indipendente dei caratteri, argomentando che i suoi inventori non saltano da nessuna conoscenza di scrittura ad una sillabica con questi segni eleganti. Egli arriva a citare i geroglifici luviani come un "perfetto parallelo" (Ipsen 1929:17) di testo originale ispirato sotto la diretta influenza di altri testi (i suoi valori simbolici ispirati dal cuneiforme, le sue forme dai geroglifici egiziani)

    Schwartz (1956:108) propone una relazione genetica tra lo scritto del Disco di Festo e quelli della Lineare cretese.

    Tra gli alfabeti conosciuti, ci sono tre candidati principali relazionabili a quello del Disco, ognuno di essi in parte sillabico, in parte logografico: lineare A, geroglifici anatolici e geroglifici egiziani. Le più remote possibilità sono confrontate con l'abjad del protocananeo o il sillabario di Biblo.
    Lineare A

    Alcuni segni sono vicini abbastanza alla Lineare A e Lineare B che pochi studiosi [senza fonte] credono possano avere lo stesso valore fonetico, come 12 12 = qe, 43 43 = ta2, o 31 31 = ku. Ma questa opinione non è condivisa da tutti gli specialisti degli alfabeti egei. Un recente confronto sistematico con la Lineare A è quello di Torsten Timm, 2004 [2]. Basati sui campioni di distribuzione dei caratteri della Lineare A raccolti da Facchetti,[12] Timm conclude che la lingua dell'iscrizione del Disco è la stessa della la lingua della Lineare A. Timm identifica 20 dei 45 caratteri come simili ai segni della Lineare, assegnando valori fonetici alla Lineare B pari a 16 (caratteri).
    Geroglifici anatolici

    Achterberg ed altri (2004) presentano un confronto sistematico con i geroglifici anatolici, dando come risultato una piena affermazione di decifrazione (vedi sotto). In particolare, essi considerano il simbolo del "tratto" affine al simbolo r(a/i) del Luvio, ma gli assegnano il valore -ti. Il "tratto" sull'A3 viene identificato come un determinativo del nome personale. 01 01 è comparato al logogramma SARU, un uomo che cammina o gambe che camminano in luvio. 02 02 viene messo a confronto con l'iniziale di parola a2, una testa con una corona in Luvio. L'"arco" 11 11 viene identificato come il logogramma del sol suus, il sole alato, noto dai sigilli reali luvi. Lo "scudo" 12 12 viene comparato al vicino identico logogramma luvio TURPI "pane" e assegnadoli il valore tu. 39 39 essi lo leggono come "fulmine", logogramma di Tarhunt, in luvio un geroglifico a forma di W.

    Tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Disco_di_Festo
     
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