La costellazione del Cancro nel mito

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    Cancro



    Brevissimum tenet coeli spatium, occupa una piccola parte del cielo. Così dice Vitruvio a proposito della costellazione del Cancro che, in effetti, occupa non più di quattordici gradi della fascia zodiacale. Né le sue stelle sono particolarmente brillanti. La loro disposizione, peraltro, ha potuto suggerire all’immaginazione degli antichi la forma di un crostaceo.

    I Babilonesi, per verità, sembrano aver esitato sulla sua rappresentazione. Uno dei nomi con cui lo chiamavano era peraltro Nagar, cioè falegname, lavoratore del legno. Il termine è poco chiaro, ma non manca chi vi ha visto il soprannome di un animaletto, una specie di granchio terrestre, il che ci riaccosterebbe alla concezione classica la quale, appunto, individua nella costellazione un granchio.

    Volgendoci all’Egitto, poi, il Cancro potrebbe derivare dalla trasformazione di due tartarughe che individuavano il decano Sit, localizzato appunto nel Cancro. Un possibile modello è forse anche lo scarabeo egizio. In Grecia il Cancro è Karkìnos (granchio, gambero) e comincia ad essere menzionato verso il 430 a.C. Nel mondo latino si usava il termine Cancer, con lo stesso significato.

    Ma procediamo, ora, lungo i sentieri, del mito; scendiamo nell’acqua di palude…
    Pensa lentamente Karkinos, il granchio, il crostaceo. La grande Era, la dea, la sposa del sommo Zeus, gli ha parlato. – Ti ho allevato, Karkinos – gli ha detto. – Ti ho nutrito in questa palude di Lerna. Siimi riconoscente. Va’ e colpisci Eracle. Aiuta l’idra! - . L’idra, quell’immondo essere che così spesso aveva disturbato i suoi sonni nell’acqua misteriosa della palude. L’idra, quella bestiaccia non si capiva bene se con corpo di cane o di serpente, con tutte quelle teste, sette, nove, cinquanta o quante fossero; con quel fiato velenoso e puzzolente che faceva strage di persone e di armenti, che mandava in malora fin le messi della vicina città di Argo. Ma la dea ha parlato: lui, Karkìnos, deve aiutare il mostro. E si avvia, Karkìnos, lentamente.

    Già avverte, lontano, un trambusto. E’ Eracle che lotta selvaggiamente con l’Idra. E’ la seconda delle imprese impostegli da Euristeo, la seconda “fatica”. Taglia col suo aureo falcetto, le teste di quell’incubo vivente. L’ha stanato con frecce infuocate dal suo rifugio in un bosco di platani. Taglia le teste. E quelle – maledette – ricrescono. Né cade quella centrale, che in parte è d’oro, immortale. Ispira l’eroe la saggia Athena. – Iolao, dà fuoco al bosco! – grida Eracle al fido nipote che l’accompagna nell’impresa. Ecco le prime fiamme. Ecco, pian piano, gli arbusti si arroventano, si mutano in ardenti tizzoni. E allora via. Giù una testa e subito, sulla ferita, la punta infuocata d’un tronco. Miracolosa cauterizzazione! Più non ricrescono le orride appendici. Ed ecco Karkìnos che scorge l’eroe affannato. – Ancora uno sforzo; ancora qualche passo avanti. Eccolo, eccolo; ecco il suo piede. Obbediamo alla dea -. E si attacca con le chele potenti al tallone dell’eroe. Mugghia, Eracle, per il dolore. Ma non più di tanto. Si scrolla dal piede l’animale e, preciso, lo schiaccia. Cade l’ultima testa dell’idra, l’immortale, e vien posta sotto una enorme roccia. Si asciuga il sudore, Eracle e si accinge a intingere la punta delle sue frecce nelle tossiche secrezioni del mostro ucciso.

    E intanto muore Karkìnos: i frammenti del suo guscio infranto hanno fatto strazio delle sue molli e bianche carni. – Madre Era, ho fatto quanto ho potuto – pensa spegnendosi. – Hai fatto quanto hai potuto – conferma la dea e pone la sua figura in cielo, come Cancro, nello Zodiaco. Antonino Anzaldi

    www.goleminformazione.it/astrologia...ml#.V_fVDXRoahA

    Edited by virginella - 8/10/2016, 12:20
     
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    Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i saggi in mezzo a biasimi e lodi (Buddha)

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    ll Cancro, nel senso di granchio, è legato in Asia ai miti della siccità e della Luna.

    In Cina è associato a Niu-ch'ou, che fu bruciata dal Sole.

    Presso i Thai i granchi assistono il guardiano della “Fine delle Acque” all'ingresso della Caverna Cosmica.

    Per i Cambogiani il granchio è un simbolo benefico e sognare un granchio preannuncia che tutti i propri desideri saranno esauditi.

    Secondo un mito degli Andamanesi, il primo uomo, dopo essere affogato in una insenatura, si trasformò in animale acquatico e fece capovolgere la barca di sua moglie che era andata a cercarlo. Anche lei annegò e scese a raggiungerlo sotto forma di granchio.

    La nascita della costellazione del Cancro è molto antica e risale ai Sumeri. Introdotto nella metà del primo millennio avanti Cristo, era conosciuto come KUSHU (un animale marino, forse proprio un granchio; in passato era chiamato NANGAR) ed era costituito solo dall'ammasso aperto del Presepe.

    Le cinque stelle più luminose del Cancro hanno la forma di una Y rovesciata.

    Acubens (la “tenaglia” o la “chela”) è a (alfa) Cancris, una stella bianca distante 100 anni luce.

    La stella più brillante della costellazione è Altarf, “la fine” (del piede meridionale), b (beta) Cancris, una gigante arancione distante 170 anni luce.

    Asellus borealis, g (gamma), l'asinello settentrionale, è una stella bianca distante 230 anni luce, mentre d (delta) è Asellus australis, l'asinello australe, una gigante gialla distante 220 anni luce.

    Al centro, tra le stelle g (gamma) e d (delta) si trova la macchia luminosa costituita da M 44 (NGC 2632), un ammasso stellare distante circa 520 anni luce e formato da più di 300 stelle. Conosciuto fin dall'antichità come Alveare, Presepe o Greppia, venne inserito da Messier come il 44° oggetto del suo catalogo. Gli astrofisici stimano che il Presepe abbia un'età di 650 milioni di anni


    Secondo una antica tradizione i due asinelli, g (gamma) e d (delta) Cancris, fanno parte di un episodio della vita di Dioniso, il quale era stato colpito dalla pazzia per volere di Hera, la gelosa moglie di Zeus, nemica di Dioniso in quanto questi era nato da una relazione fra Zeus e Semele (la Luna). Accompagnato da Sileno, l'antica divinità del vino del Mediterraneo, Dioniso, seguito da satiri e baccanti, errava alla ricerca dell'oracolo di Zeus Dodoneo, l'unico che avrebbe potuto fargli riottenere la ragione perduta.

    Quando arrivarono ad una vasta palude, nessuno si offrì di aiutarlo, solo due asini si mostrarono pronti e lo trasportarono sull'altra riva senza fargli toccare l'acqua. Raggiunto il tempio e liberato dalla sua pazzia, Dioniso premiò i due asini ponendoli fra le costellazioni.

    L'antichità di Sileno è notevole, esso risale infatti al periodo anteriore all'introduzione della vite nella zona mediterranea, quando il vino era fatto con le bacche di mirto cotte nel lebete treppiede (un recipiente usato per cuocere i cibi e per conservare i liquidi). Il suo culto fu integrato al culto di Dioniso, che si manifestava nelle tre età: bambino, maturo e vecchio. Nella prima era fatto a pezzi dai Titani, uccisione che simboleggiava la potatura della vite, la maturità rappresentava l'uva matura al tempo della vendemmia, mentre la sua ultima manifestazione raffigurava il vino e lo stato di ebbrezza.

    Un'altra storia lega Dioniso agli asinelli. Terminata vittoriosamente la guerra decennale fra gli dei dell'Olimpo e i Titani, gli dei dovettero affrontare nuovi e agguerritissimi avversari, i Giganti, figli selvaggi della dea-Terra Gea. Istigati dalla madre, che voleva vendicare la sconfitta e la reclusione da parte di Zeus nel Tartaro degli altri suoi figli (i Titani appunto), i Giganti passarono all'attacco, lanciando contro gli avversari armi ed enormi massi, fino a metterli in fuga. Ma gli dei si riorganizzarono e le sorti del conflitto (conosciuto come Gigantomachia) incominciarono a volgere a loro favore. Allo scontro decisivo Dioniso, Efesto e alcuni loro compagni giunsero sul luogo della battaglia cavalcando degli asini. I Giganti, che mai ne avevano ascoltato il raglio, fuggirono precipitosamente, credendo che qualche terribile mostro stesse per piombare loro addosso. Questo episodio favorì la vittoria della futura dinastia regnante divina, che eliminò tutti i Giganti grazie alle saette di Zeus e alle frecce micidiali di Eracle.

    Più antica e più famosa di queste leggende è quella che parla di Ercole e della sua lotta contro l'Idra di Lerna. Il granchio rappresentava infatti il crostaceo che, uscito dalla palude, tentò di ghermire il piede dell'eroe greco nel tentativo di ostacolarlo durante la seconda fatica. L'unico risultato di tale assalto fu però quello di essere schiacciato e ridotto in poltiglia dall'imbattibile Ercole. Il “mandante” dell'aggressione va ricercato ancora una volta in Hera, poiché anche Ercole era un figlio illegittimo di Zeus.

    In Mesopotamia nelle stelle del Cancro si vedeva una tartaruga (rappresentata ad esempio sulle pietre confinali al British Museum), a Creta rappresentavano un polpo mentre in Egitto apparivano come il dio Khepri, il sacro scarabeo che i sacerdoti di Eliopoli avevano trasformato in divinità solare e più precisamente nell'aspetto mattiniero del Sole:

    «Io sono Khepri al mattino, Ra a mezzogiorno e Atum alla sera»

    Trinità che ricorda quella di Dioniso.

    Khepri è rappresentato in Terra dallo Scarabeo stercorario.

    Lo scarabeo stercorario (Scarabeus sacer) si distingue per l'esemplare sollecitudine che dimostra verso la prole. Si nutre di escrementi e le zampe larghe fatte per scavare permettono non solo di elaborare completamente questo materiale, ma anche di preparare il terreno sotto il letame, per costruire le gallerie che lo costudiranno. Se il cibo è destinato alla prole, lavorano lo sterco e ne fanno delle pallottole grosse come noci. Quindi le ingrandiscono finché le pallottola ha preso le dimensioni di un pugno, rotolandola per farla compattare. In seguito viene sotterrata e la femmina depone al suo interno le uova così che alla nascita le larve abbiano a disposizione una grande riserva di cibo.

    Lo scarabeo simboleggiava il rinnovamento e la resurrezione e la sfera di sterco era il Sole che rinnovava il suo potere dopo il solstizio.

    Khepri era chiamato “scarabeo del cuore” perché, scolpito in pietra, veniva posto sulla mummia in corrispondenza del cuore con incise le formule XXX e LXXV del Libro dei Morti.

    Secondo la mitologia egizia, Khepri (chiamato anche Kheper, Kheprer o Khepera) nacque autocreandosi dalla propria stessa sostanza. Si accoppiò poi con la propria ombra e diede alla luce Shu, l'aria, e Tefnut, l'umidità. Dall'unione di Shu e Tefnut nacquero Geb, la Terra, e Nut, il cielo. Essi, a loro volta generarono le grandi divinità Osiride, Iside, Seth e Nefti. Questo gruppo di nove dei era adorato in un sistema cosmologico noto con il nome di Enneade, o la “Compagnia dei Nove Dei”.

    Poiché si credeva che lo scarabeo fosse l'incarnazione di Khepri, si indossavano gli amuleti a forma di scarabeo per assicurarsi la sua protezione. Anche molti soldati romani portavano in battaglia anelli con immagini di scarabei.

    Un'altra versione del mito egizio riconduceva la costellazione del Cancro al dio sciacallo Anubi, il quale assisteva lo scriba divino Thot, “pesando” il cuore dei defunti con una bilancia avente come contrappeso la “piuma della verità” della dea Maat.

    Questo rapporto con l'aldilà introduce un'altra importantissima metamorfosi di questo segno dello zodiaco: gli Orfici e i platonici lo avevano denominato il “Cancello dell'Uomo” o “Ponte dell'Uomo”, spiegando che da questo gruppo di astri passavano le anime che andavano a prendere alloggio nei corpi umani sulla Terra. Anche in Mesopotamia si identificava con la porta di accesso verso l'incarnazione.

    Secondo Omero, Arato e Plinio, l'ammasso del Presepio era di grande importanza in quanto la sua visibilità era apportatrice di tempo sereno. Plinio diceva: «se Presepe non è visibile in un cielo sereno è presagio di un violento temporale».
     
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