La costellazione del Leone nel mito

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  1. leAlidelDestino
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    LA COSTELLAZIONE DEL LEONE



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    Una linea retta che dalla Stella Polare passa attraverso le Puntatrici dell'Orsa Maggiore, Dubhe e Merak, ci porta fino alla quinta costellazione dello zodiaco, il Leone, identificabile per la famosa falce formata dalle stelle della criniera e da Regolo, la sua stella più brillante.

    Dubhe, a (alfa) Ursae majoris è una gigante gialla distante 75 anni luce. Merak, b (beta) Ursae majoris è una stella bianca distante 62 anni luce. Rappresentano in pratica le ruote posteriori del Grande Carro, e vengono definite Puntatori poiché “puntano” in direzione della Stella Polare.

    Visibile da dicembre a giugno, Leo è una delle più grandi figure del cielo e l'immagine poligonale tracciata dalla posizione dei soli che la compongono dà l'idea di un animale di gran forza che guarda verso occidente.

    Il Leone occupava una posizione di primaria importanza quando le costellazioni furono create, perché segnava il solstizio d'estate simboleggiando la suprema vittoria della luce sulle forze delle tenebre: posizione questa che più tardi, a causa della precessione degli Equinozi, perse in favore del Cancro prima e dei Gemelli poi (oggi è il 21 giugno), ma che fu sua dal 4000 al 2000 avanti Cristo.

    Forse l'origine del nome dell'asterismo è dovuta al fatto che il Sole faceva il suo ingresso in questo segno zodiacale nel periodo più caldo dell'estate (da qui la nostra definizione solleone). In conseguenza delle alte temperature i leoni abbandonavano le tane nel deserto per dirigersi verso il Nilo a cercarvi refrigerio e la loro comparsa non mancava di creare notevoli problemi agli abitanti delle zone in prossimità del fiume. Per questo i leoni erano fonte di timore ma anche di rispetto. Un altro motivo che dava rilievo alla costellazione del Leone era la coincidenza del transito del Sole con la levata eliaca di Sirio e le piene del Nilo. Per sottolineare reverentemente questo fenomeno astronomico collegato alla costellazione, gli egizi scolpivano la testa di un leone sui ponti dei loro canali, simbolo che si è perpetuato nelle fontane che raffigurano leoni dalla cui bocca sgorga uno zampillo d'acqua. Anche l'orologio ad acqua, usato anticamente nei processi pubblici, era in forma di leone ed era chiamato Guardiano del Fiume.

    Per la sua forza e le abitudini predatorie il leone (Panthera leo) è stato considerato per molti secoli il re degli animali. Il mito dei poteri sovrannaturali del leone sopravvive ancora oggi: in alcune parti del mondo si crede che consumando o indossando parti del corpo di un leone si possa in breve riavere la forza perduta, curare le malattie e addirittura ottenere immunità dalla morte. Un tempo i leoni erano molto più diffusi di oggi. Dai fossili conosciamo almeno 18 specie di felini estinti. A Olduvai Gorge, in Africa, è stata trovata la Panthera Gombaszoegensis, forma intermedia tra leone e tigre, datata a un milione e mezzo di anni fa, l'antenato più antico di leone mai conosciuto e diffuso anche in Europa. Sono stati trovati fossili in Inghilterra e presso il fiume Alazeya in Siberia del “leone delle caverne”, Panthera leo spelaea, che viveva in Europa 600.000 anni fa. Studiando un cranio di 100.000 anni e le figure delle grotte, si è giunti alla conclusione che i leoni antichi assomigliavano molto agli attuali leoni dell'India del Nord, della foresta di Gir.

    Nei “Rig Veda” al dio solare Indra sono dedicati duecentocinquanta inni, più che a qualsiasi altra deità dell'olimpo indiano. Indra era il dio della pioggia, del fulmine e del solstizio. Come avveniva in Egitto con l'alluvione solstiziale del Nilo, così in India il periodo della siccità terminava con l'ingresso del Sole nel Leone, quando arrivavano i monsoni apportatori di pioggia e della rinascita vegetale. Come personificazione del solstizio estivo, Indra veniva definito «colui che pose il Sole così alto nel cielo» e «Indra fermò il corso del Sole», in riferimento al rallentamento apparente che il Sole compie in quel periodo. Anche in India si parla del conflitto fra luce e buio, la rappresentazione astronomica del conflitto fra Indra (il Sole) e il serpente Vrita (la costellazione dell'Idra), con la vittoria finale di Indra nel solstizio estivo.

    Nel planisfero di Denderah, in Egitto, la costellazione è rappresentata da un leone in piedi su un serpente significando la vittoria della luce sul serpente della tenebre, la stessa immagine è ben visibile anche nel cielo notturno poiché il Leone è proprio sopra al serpente celeste Idra.

    Hydra è la più grande costellazione del cielo, difficile da vedere a causa della sua scarsa luminosità. L'Idra si snoda dai confini con il Cancro fin nei pressi della Bilancia, la sua lunghezza complessiva è di oltre 100°. La stella più brillante è Alphard, “la solitaria”, una gigante arancio distante 130 anni luce.

    Ma gli egizi non sono stati i primi a ritrarre il felino, infatti la raffigurazione del leone percorre ininterrottamente la storia dell'uomo ad iniziare dal paleolitico, mantenendo intatta la sua simbologia di forza, potenza e regalità, e la tradizione dei leoni a guardia della porte, come nella grotta paleolitica dei Trois Freres, trova un bel seguito in un leone sumerico del XIX secolo avanti Cristo, in pietra, che sorveglia il tempio di Dagan, dio degli Amorriti a Mari, caratterizzato dagli occhi in pietra bianca con al centro un cerchio di scisto nero, ma molto più famosa è la Porta dei Leoni di Micene (Aslanlikapi, 1300 a.C.), il cui poderoso architrave è sormontato da un fregio triangolare con una colonna e due leoni rampanti.

    La rappresentazione del leone è frequente anche in epoche più recenti, con una grande ricchezza nel Medio ed Estremo Oriente. Nell'Asia orientale, i leoni erano conosciuti solo attraverso tradizioni remote perciò i leoni raffigurati in immagini e sculture hanno poco in comune con il modello naturale. Come figure tutelari delle porte, vengono rappresentati due leoni stilizzati che proteggono l'accesso ai luoghi sacri. Quello di destra ha forma maschile e tiene sotto la zampa una perla, quello di sinistra, femmina, un cucciolo. In Giappone, il leone (il cane-leone) ha perso ancora di più il suo aspetto naturale ed è chiamato “cane-Buddha”. Nell'araldica europea il leone, insieme all'aquila, è l'animale maggiormente ricorrente. Per lo più è rappresentato in posizione eretta e con il corpo di color oro o rosso, come esempio osservare lo stemma di Ravenna.

    Si è spesso voluto vedere il simbolo del leone nella Sfinge egizia e certamente l'antichità di questa figura è molto grande e ancora discussa, ma la Sfinge nella sua variante chiamata dagli egiziani “siriana” (un leone con ali e volto di donna) ha sicuramente una relazione con la costellazione del Leone. All'inizio del quarto millennio avanti Cristo i solstizi e gli equinozi erano contrassegnati da quattro stelle di prima grandezza: l'equinozio di primavera era marchiato dalla stella Aldebaran del Toro; il solstizio estivo da Regolo dei Leone; l'equinozio autunnale da Antares dello Scorpione e il solstizio d'inverno da Fomalhaut nell'Acquario. Queste stelle sono passate alla storia con il nome di Stelle Reali. Ma per i popoli al di sopra di una certa latitudine era difficile scorgere Fomalhaut, perché troppo bassa sull'orizzonte, così gli fu preferita Altair dell'Aquila. Ecco quindi che cosa ha originato il Grifone in Mesopotamia, l'ibrido astronomico con ali e zampe posteriori di aquila, corpo e corna di toro, testa e zampe anteriori di leone, coda di scorpione con tanto di aculeo avvelenato. Questa figura è il prototipo delle Chimere, molto diffuse nel medioriente e presso i popoli mediterranei, e nelle quali è sempre presente il leone, mentre variano le altre figure a seconda della cultura e del calendario. Se l'anno era diviso in tre parti, gli animali erano leone, capra e serpente, oppure toro, leone e serpente che corrispondevano alle metamorfosi stagionali di Dioniso; oppure ancora Leone, Cavallo e Cane come le tre teste di Ecate. Nell'anno diviso in quattro stagioni, come in Grecia, abbiamo Toro, leone, scorpione e serpente marino, o Idra.

    Una variante delle Stelle Reali compare nella visione di Ezechiele nella “terra dei Caldei”, dove l'immagine che gli apparve aveva quattro facce: una d'uomo, una di leone, una d'aquila e una di toro. Una simile visione ebbe Giovanni nell'Apocalisse: gli apparvero «quattro animali pieni di occhi davanti e di dietro. Il primo animale assomigliava al leone, il secondo assomigliava al vitello, il terzo aveva la faccia come d'uomo e il quarto era simile all'Aquila volante» Queste quattro figure diverranno i quattro evangelisti: Matteo l'Uomo, Marco il Leone, Luca il Toro e Giovanni l'Aquila.

    La stella più brillante della costellazione di Leo è Regolo a (alfa) Leonis, “piccolo re”, una stella bianco-azzurra distante 85 anni luce.

    Il Sole, la Luna e le stelle come Regolo, occupano un posto prominente nella cosmogonia dei Boscimani, come d'altronde avviene normalmente in tutte le culture primitive. Questi astri non sono per il Boscimano entità astratte ed esterne al contesto in cui vive, ma sono creature reali, che in un'altra epoca (chiamata «epoca della prima stirpe») erano loro stesse uomini e cacciatori come lui e vagavano sulla terra in cerca di selvaggina e avevano la facoltà di parlare.

    Facile da trovare è la falce di stelle che ha per manico Regolo e per lama ricurva le stelle della criniera. Sicuramente fu un simbolo popolare per gli agricoltori al tempo in cui il solstizio avveniva nel Leone e coincideva con il periodo del taglio del grano. In Mesopotamia veniva chiamato Gis-mes, l'Arma ricurva. I Sogdiani e i Korasmiani la chiamavano Khamshish, la Scimitarra.

    Gli antichi arabi, prima dell'introduzione dell'astronomia greca, crearono la più grande figura stellare mai creata: si trattava di un enorme leone che cominciava da un lato con le stelle dei Gemelli, si estendeva su Cancro, Leone attuale e Vergine fino alla Bilancia, a nord raggiungeva le stelle dell'Orsa Maggiore e a sud quelle dell'Idra. A questa iperbolica costellazione venne dato il nome di Asad, il Leone, che i nuovi astronomi trasferirono all'odierno Leone.

    Irreperibile è invece un asterisma che doveva trovarsi nello spazio fra Leone e Vergine, chiamato “Fahne”, bandiera, ma con ogni probabilità la coda del felino, oggi rappresentata ricurva su se stessa, era ritta verso l'alto e terminava in un ciuffo di stelle che venne amputato in epoca tolemaica per costruire la costellazione della Chioma di Berenice.

    Presso le antiche civiltà storiche il leone è spesso simbolo di divinità, in prevalenza femminili, e molto spesso era associato al Sole. Tra le più note, presso i Sumeri, la dea Ereshkigal o la dea Inanna, associata al leone alato, o mentre soggioga il leone avendone assunto lei stessa le ali. Hathor, rappresentata sotto forma di leone o di mucca, probabile figlia del Sole Ra; Horus consorte e figlio di Hathor, con testa di leone e disco solare; Mehit, dea con testa di leone; Tefnut, con testa di mucca o leone, sovrastata dal disco del Sole; in Tibet abbiamo Tara la dea leonessa tibetana; quindi ecco Nyavirezi, dea africana, simile al leone. Anticonformista è Chiu-Shou, divinità cinese, che era un leone che assumeva fattezze umane.

    Spesso tali divinità erano rappresentate in piedi sul dorso del grande felino: presso gli Ittiti, Hebat, sposa di Teshub, raffigurata come una matrona; la dea lunare Shaushka, periodo accadico 2350 avanti Cristo, effigiata come figura alata, così come la dea Lilith, Durga, dea indù, distruttrice dei demoni o Sinha Kubera, altro dio Indù. In molti altri casi erano seduti su un trono a forma di leone, la prima immagine di questo tipo è probabilmente quella risalente al Neolitico, VII millennio avanti Cristo, in Anatolia, a Catal Huyuk, e cioè una statuina femminile seduta su un trono con leonesse come braccioli; ma anche In Oriente, Buddha, detto “il leone di Shakya” sedeva su un trono a forma di leone. In Grecia, Cybele, dea madre della Frigia, guida un carro trainato da leoni. A Roma Giunone era spesso ritratta su un carro trainato da leoni.

    Il mito più conosciuto narra che la costellazione raffigura la prima delle dodici fatiche di Eracle, il leone di Nemea. La belva aveva origini incerte: la maternità era stata attribuita a Echidna, a sua figlia Chimera, o anche alla dea Selene, mentre la paternità era contesa tra Tifone e Ortro. Qualunque ne fosse l'albero genealogico, il leone imperversava nella foresta che circondava la città di Nemea e viveva in una grotta che aveva due ingressi, dalla quale partiva per le sue scorribande omicide.

    Armato soltanto del suo arco e di un ulivo divelto alla radice e usato come clava, Ercole affrontò l'animale ma le sue frecce non scalfivano nemmeno la pelle dell'animale, perché era invulnerabile a qualsiasi arma. L'eroe allora fece roteare la clava con tale forza che il leone si spaventò e riparò nel suo antro. Eracle lo inseguì, chiuse una delle due entrate, poi si recò all'altra uscita e affrontò l'animale, soffocandolo a mani nude. Poi lo scuoiò con i suoi stessi artigli e ne indossò la pelle, usandone la testa come elmo.

    In India, un avatar di Visnù, o Vishnu, era Narasinha, l'uomo leone. Vishnu è generalmente rappresentato come un bel giovane, dal colorito blu e che tiene nelle sue quattro mani una conchiglia, un disco, un bastone e un fiore di loto. Nelle sue incarnazioni si manifesta una parte della sua essenza divina, e si dice che un avatar appaia ogni volta che nel mondo si presenti il bisogno urgente di far fronte a una grande influenza malefica. Narasinha apparve per scacciare dal mondo il demone Hiranyakasipu che aveva ottenuto il controllo del mondo per un milione di anni da Brahma o da Shiva. Aveva anche ottenuto il dono dell'invulnerabilità di fronte ad un uomo o ad un animale, di giorno o di notte, su terra e su mare, e contro ogni arma liquida o solida. Il figlio del demone, Prahlada, però adorava Visnù e la cosa naturalmente irritava suo padre, tanto che tentò di ucciderlo, ma il ragazzo era protetto dal dio. In tono sprezzante Hiranyakasipu chiese a suo figlio se Visnù si trovasse in una delle colonne che sostenevano l'ingresso del suo palazzo. Alla risposta affermativa del ragazzo, il gigante colpì il pilastro dal quale subito emerse Narasinha che dopo un lungo duello squartò in due Hiranyakasipu.

    Presso i Sumeri, Ningirsu (2100 a.C.) dio della pioggia e fertilità, splendente come il Sole, era rappresentata come un'aquila con testa di leone, e si diceva avesse vinto il leone dalle sette teste. Presso questo popolo il leone rappresentava la forza ostile alla vita, il demone.

    In Egitto, Sekhmet, la moglie dalla testa di leone di Ptah, onorata come dea della guerra era in genere associata al potere distruttivo del Sole, all'occhio solare che brucia e giudica. Avversario spietato sul campo di battaglia, Sekhmet incarnava la forza e il coraggio del leone, mostrando una gioia sfrenata nel vedere la preda cadere ai suoi piedi. In alcuni casi veniva identificata con la dea dalla testa di gatto, Bastet, che era associata alla Luna. Questo legame tra il satellite e l'animale era probabilmente dovuto al modo in cui gli occhi dei gatti brillano nell'oscurità, proprio come la luna.
     
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    Auguroni a tutti gli amici e le amiche del segno del Leone! 😘
     
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    Abbazia di Vezzolano, Sansone che lotta con il leone



    Certamente è babilonese l’origine del nome della stella principale della costellazione: era chiamata Lugal, il re. Termine ripreso dagli astronomi greci sotto la forma del diminutivo basilìskos. Il nome Regulus (quello attuale) era sconosciuto ai romani e si ritrova solo da Copernico in poi.
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    Pochi giorni fa, il 22 luglio, alle ore 12.02, il Sole ha fatto il suo ingresso nel Leone.
    Brillante e vasta la costellazione del Leone, che abbraccia ben 60° di longitudine. Naturale, quindi, il paragonarla appunto ad un leone, al re degli animali. I babilonesi la chiamavano Ur-A, il leone, ma anche Ur-Gu-La, la leonessa. Gli egizi vi vedevano un leone in riposo già dal Nuovo Regno (1580-1100 a.C.). Non è quindi facile determinare la provenienza della figura. Certi indizi spingono a volgerci verso Babilonia. Così, certamente è babilonese l’origine del nome della stella principale della costellazione: era chiamata Lugal, il re. Termine ripreso dagli astronomi greci sotto la forma del diminutivo basilìskos. I latini usavano l’espressione stella regia e il nome Regulus (quello attuale) era sconosciuto ai romani e si ritrova solo da Copernico in poi. Presso gli antichi greci si trova l’appellativo Léon, leone. E presso i latini, il termine utilizzato fu pure leone, Leo.
    Ma vediamo ora dove ci conducono le strade del mito…

    Già sa bene, Eracle, dell’invulnerabilità della belva. Eppure non può trattenere un moto di stupore vedendo le sue frecce, micidiali e precise, spezzarsi o rimbalzare sul corpo dell’enorme leone che devasta l’ampia valle di Nemea. Non valgono le frecce? E allora giù con la clava colpi potenti; botte da orbi, come si dice. Ed in breve la clava è in frantumi. E il leone appena sbadiglia.. Ma riesce, l’eroe, a spingerlo nella sua tana, di cui ha provveduto ad occludere una delle due uscite. La belva, così, non può sfuggire. E la afferra, Eracle, la stringe a sé in un soffocante abbraccio. Si affloscia, morto, il leone. Mette conto scuoiarlo, far della sua pelle un trofeo. Ma inscalfibile da ferro e da fuoco è il vello. Perplesso medita l’eroe, finché giunge la divina ispirazione: scuoiare il mostro coi suoi stessi artigli. E’ presto fatto. E poco dopo, Eracle indossa la leonina spoglia, il cui capo crinito gli fa da elmo. Non diventa così, forse, egli stesso leone? Non assume così la natura sublimata del mostro? Non ha così ucciso la belva in sé? Sia come sia, Zeus pone il leone nel numero delle costellazioni, a perpetuare l’impresa d’ Eracle, suo figlio.

    Ma voliamo ora dalla Grecia fino alla terra dei Filistei. Qui troviamo un personaggio dalla lunga chioma; un altro eroe. “Scese dunque Sansone a Tamna e giunto alle vigne della città, ecco farglisi incontro un giovane leone ruggente. Investito dallo Spirito del Signore, Sansone, senza aver nulla in mano, lo squartò come si squarta un capretto. Ma non disse nulla al padre e alla madre di ciò che aveva fatto… Ritornato dopo qualche tempo… deviò per andare a vedere la carcassa del leone, ed ecco che nella carcassa del leone c’era uno sciame d’api e del miele. Egli ne prese nella palma della mano e si mise a mangiarlo. Ritornato poi dal padre e dalla madre ne portò anche a loro e ne mangiarono; ma non disse loro di aver preso il miele dalla carcassa del leone”. Si mediti: dal leone che ha ucciso, Sansone-leone (entrambi hanno criniera) trae il solare, aureo, incorruttibile, dolcissimo miele, prodotto dalle api. Ed ape, in ebraico, è dbure, dalla radice dbr, da cui anche Debora, che vuol dire parola. Api-parole che producono miele (oro alimentare), genera dunque il morto leone. E a un ruggito di leone, si ricordi, gli antichi scrittori paragonavano la Parola di Verità del Cristo, il Verbo. Ed anche il Buddha è detto ruggire quando insegna il Dharma, la Legge per eccellenza. Antonino Anzaldi

    www.goleminformazione.it/astrologia...ml#.V_fT_nRoahA

    Edited by virginella - 8/10/2016, 11:56
     
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3 replies since 11/2/2010, 11:18   5037 views
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